La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 38477 depositata il 21 settembre 2023 ha teorizzato lo strano concetto della necessità di più carcerazione ingiusta per avere la configurabilità dello strepitus fori di cui tener conto nella liquidazione dell’indennizzo.
Secondo il ragionamento della Suprema Corte occorre che la diffusione della notizia esorbiti dalle comuni modalità di informazione, connotandosi sia per la capacità di raggiungere un largo pubblico, sia per l’assertività della notizia nel senso della responsabilità penale dell’interessato, con la conseguenza che nelle realtà di piccole dimensioni è necessario che l’ingiusta detenzione abbia una durata tale da indurre nel pubblico il convincimento dell’effettivo coinvolgimento dell’interessato.
Quindi, piccolo imprenditore, non lamentarti troppo: hai fatto solo 3 giorni di carcere e 943,48 euro sono più che sufficienti.
Fatto
La cassazione ha rigettato il ricorso di un imprenditore che lamentava la congruità dell’indennizzo ricevuto in ordine ad un procedimento penale, nel quale gli era stato contestato il reato di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen., liquidando una somma pari al calcolo aritmetico tra il numero dei giorni di detenzione preventiva subita, pari a 3, e la somma individuata dalla giurisprudenza a titolo di indennizzo giornaliero, pari a euro 235,87, per complessivi euro 943,48.
Nella specie, il richiedente era stato arrestato e, all’esito della convalida, il GIP non aveva emesso una ordinanza di custodia cautelare detentiva per carenza indiziaria e detto provvedimento, impugnato dal PM, era stato definitivamente confermato.
Il procedimento penale, invece, era stato definito con provvedimento di assoluzione.
La Corte territoriale ha ritenuto congrua la somma liquidata secondo il criterio aritmetico, rigettando la richiesta di adeguamento articolata dall’istante con riferimento ad altre voci di danno, non ritenendo provato un danno ulteriore in quanto gli ulteriori pregiudizi alla vita sociale e familiare dell’istante erano stati genericamente enunciati nella richiesta di liquidazione, non essendo a tal fine rilevanti, in mancanza di precise deduzioni, gli esibiti articoli comparsi sui giornali.
Decisione
La Suprema Corte premette che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, il parametro aritmetico, al quale riferire la liquidazione dell’indennizzo, è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma secondo, cod. proc. pen., e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma quarto, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, mentre il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito (cfr. Sez. U, n. 24287 del 9/5/2001, Caridi, Rv. 218975; 3 n. 5657 del 13/12/2001, dep. 2002, Rv. 221119; sez. 4 n. 15463 del 20/3/2002, Rv. 221314).
Nel liquidare l’indennità il giudice è, dunque, vincolato esclusivamente al tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, ma non anche al parametro aritmetico fondato su tale limite, individuato dalla giurisprudenza per determinare la somma dovuta per ogni giorno di detenzione sofferto. Infatti, tale meccanismo offre solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita in relazione alle contingenze del caso concreto, ferma la natura indennitaria e non risarcitoria dell’istituto (sez. 4 n. 23119 del 13/5/2008, Rv. 240302; sez. 3, n. 3912 del 5/12/2013, dep. 2014, Rv. 258833; sez. 4, n. 18361 del 11/1/2019, Rv. 276259).
Resta ferma, ovviamente, la natura propria dell’istituto in esame, rispetto alla quale pare utile altresì ricordare che il giudice può conoscere soltanto del diritto all’indennizzo e non anche di quello ad ottenere il risarcimento del danno collegato alla restrizione della libertà ma conseguente ad un fatto ingiusto, essendo l’istituto della riparazione regolamentato dalle norme processuali penali e restando ad esso estranee le disposizioni civilistiche di cui agli artt. 2043 ss., cod. civ., che disciplinano il risarcimento del danno da fatto illecito (sez. 3, n. 35834 del 3/11/2020, Rv. 280371; n. 43453 del 17/9/2014, Rv. 260329).
Tanto premesso, va ricordato che la parte ricorrente è tenuta non solo ad allegare le conseguenze personali subite, ma a spiegare in modo circostanziato il danno subito, la sua natura, i fattori che ne sono causa e il rapporto di derivazione dall’ingiusta detenzione patita (sez. 4, n. 27474 del 2/7/2021, Rv. 281513).
La cassazione ha infatti più volte chiarito il giudice, nel liquidare l’indennità, fermo restando l’importo massimo stabilito dalla legge, può discostarsi dal parametro aritmetico ove la parte assolva all’onere di allegare l’esistenza di danni ulteriori rispetto alle normali conseguenze della privazione della libertà personale, la loro natura e i fattori che ne sono causa, e sia raggiunta la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di tali danni e del nesso causale con la detenzione. (Sez. 4 – n. 19809 del 19/04/2019, Rv. 276334 – 01 ove, in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento con cui l’indennità era stata liquidata in misura “standard” e non erano stati riconosciuti i danni all’attività imprenditoriale svolta dall’istante, solo genericamente dedotti, in mancanza di prova del nesso causale con la detenzione).
In definitiva, qualora la parte istante alleghi la sussistenza di danni che travalichino la medietà della lesione – quali (come nella specie) quelli derivanti da asserite perdite nella attività imprenditoriale esercitata nonché da particolari situazioni di pubblica esposizione, dovuti al clamore delle accuse e della carcerazione – tali doglianze devono essere circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita.
Nel caso esaminato, secondo la cassazione. a tali principi il giudice della riparazione si è attenuto, argomentando che detti ulteriori pregiudizi erano stati enunciati in modo generico e non affatto circostanziato: ed è significativo rilevare come altrettanto generica sia la doglianza sollevata in questa sede, ove il ricorrente si è limitato la rilevare che la Corte territoriale non aveva esaminato gli articoli di stampa allegati al ricorso, senza effettivamente opporre concreti rilievi alla pur sintetica motivazione dell’ordinanza impugnata, che ha osservato come, in assenza di alcuna precisa deduzione ed allegazione del danno ulteriore sofferto, non potevano essere bastevoli gli esibiti articoli apparti sui quotidiani dell’epoca.
Sul punto, va ricordato anche il consolidato indirizzo per cui, ai fini della configurabilità dello strepitus fori di cui tener conto nella liquidazione dell’indennizzo, occorre che la diffusione della notizia esorbiti dalle comuni modalità di informazione, connotandosi sia per la capacità di raggiungere un largo pubblico, sia per l’assertività della notizia nel senso della responsabilità penale dell’interessato, con la conseguenza che nelle realtà di piccole dimensioni è necessario che l’ingiusta detenzione abbia una durata tale da indurre nel pubblico il convincimento dell’effettivo coinvolgimento dell’interessato (sez. 4, n. 2624 del 13/11/2018, Rv. 275193): siffatti elementi, come già esposto, non sono stati neppure dedotti dal ricorrente.
In soldoni, caro imprenditore vivi in una piccola realtà e stare 3 giorni in carcere è poca cosa non lamentarti troppo.
Per avere più soldi la prossima volta, se ti capiterà, devi stare almeno 30 giorni in carcere e devi far diffondere la notizia del tuo arresto il più possibile ben al di fuori della tua piccola città di provincia almeno che la notizia dell’arresto sia diffusa su un Telegiornale nazionale, cribbio!
Per completezza ricordiamo ai lettori di Terzultima una recente sentenza la numero 30857/2022 della medesima sezione della cassazione sempre in tema della rilevanza dello strepitus fori e della lesione della reputazione nella quantificazione in via equitativa dell’indennizzo per l’ingiusta detenzione.
In questa sentenza si enunciavano i seguenti parametri per il riconoscimento dello “strepitus fori”:
a) la natura traumatica dell’evento influente sulla psiche dell’arrestato, in considerazione dello stato di incensuratezza e della mancanza di pregresse carcerazioni;
b) le gravi sofferenze morali e ripercussioni sul piano professionale e sul piano familiare con conseguente grave danno all’immagine per il rilievo attribuito alla notizia dell’arresto da testate giornalistiche nazionali e locali;
c) il danno all’immagine ed alla vita di relazione, conseguente al discredito sociale derivante dalla diffusione della notizia dell’arresto;
d) lo strepitus fori, determinante la compromissione dell’immagine del soggetto ingiustamente sottoposto a custodia cautelare ed inversamente proporzionale alla dimensione del contesto sociale in cui lo stesso viveva al momento dell’arresto, come dimostrato dall’allegazione delle copie di numerosi quotidiani che divulgavano la notizia dell’arresto in prima pagina con dovizia di particolari e con il nome e col cognome del G., riportati accanto a quelli di altri soggetti tratti in arresto perché indiziati di appartenere all’associazione di stampo camorristico denominata “clan dei casalesi”.
