Avvocato separando non può mettersi d’accordo direttamente con la moglie scavalcando il collega che la rappresenta (di Riccardo Radi)

In ambito deontologico il detto “Tra moglie e marito non mettere il dito” non è valido.

Il Consiglio Nazionale Forense con la decisione numero 134 pubblicata il 18 settembre 2023 ha stabilito che i limiti deontologici nei rapporti con la controparte assistita da collega valgono anche per l’avvocato che agisce in proprio.

Quindi, l’avvocato non può ricevere né mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia assistita da altro legale, alla quale può indirizzare corrispondenza esclusivamente per richiedere comportamenti determinati, intimare messe in mora, evitare prescrizioni o decadenze, in tal caso inviandone sempre copia per conoscenza al collega che la assiste (art. 41 cdf, già art. 27 codice previgente).

Ciò vale anche per l’avvocato che agisca in proprio e non come difensore di terzi.

Nel caso di specie, l’avvocato in proprio aveva direttamente raggiunto un accordo di separazione con la moglie, sebbene questa fosse assistita da un avvocato, che lo stesso aveva lasciato all’oscuro.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Greco, rel. Cosimato), sentenza n. 134 del 5 luglio 2023

NOTA:
In senso conforme, da ultimo, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Vannucci), sentenza n. 128 del 17 luglio 2020.