“Lanacaprinista sarà lei. Io sono un penalista”: colpito nell’orgoglio l’avvocato chiede lumi alla cassazione che sorniona risponde nel modo che vedrete.
Nelle aule di giustizia accadono incontri e scontri tra avvocati, è il sale della nostra professione. L’intelligenza vorrebbe avere la capacità di tenere sempre a mente che finita la tenzone dell’aula ci si saluta amichevolmente e poi magari, se si ha il piacere della compagnia, si beve un caffè insieme al bar del tribunale.
Spesso ciò non accade e gli strascichi arrivano fino in cassazione per frasi o parole ritenute a torto o ragione offensive o denigratorie.
“L’avvocato pensi a fare il penalista e non il lanacaprinista” la frase pronunciata che non è stata presa bene da un nostro collega.
Lanacaprinista a me? Urca, io non sono un sofista o filosofo, deve aver pensato e via di querela.
Quindi il nostro penalista colpito nell’amor proprio a sentirsi definire “lanacaprinista” si è sentito dire dalla Suprema Corte che “l’espressione l’avvocato pensi a fare il penalista e non il lanacaprinista, indipendentemente dal contesto in cui è usata, non è idonea ad offendere il bene giuridico tutelato dai delitti contro l’onore, giacché non ha alcuna valenza denigratoria.
Il termine lanacaprinista rimanda, infatti, alle questioni di lana caprina di cui vengono accusati coloro che si attardano in dispute sottili e oziose che non hanno rilevanza concreta; esso, seppure poco felice, è simile ad altri termini pure ugualmente diffusi, quali sofista, filosofo, che denotano la tendenza all’astrazione e alle complicazioni inutili”.
Quindi il lanacaprinista colpito nell’orgoglio ha prestato il fianco ai giudici che sottilmente hanno ricordato che gli avvocati, non tutti per carità, si “attardano in dispute sottili e oziose che non hanno rilevanza concreta … che denotano la tendenza all’astrazione e alle complicazioni inutili”.
A qualcuno fischiano le orecchie?
Della serie oltre il danno (si fa per dire) la beffa.
