Giustizia riparativa: un caso di applicazione che farà discutere (di Riccardo Radi)

La Corte d’assise di Busto Arsizio ha accolto la richiesta della difesa ed ha emesso l’ordinanza (in calce al post) con cui si è pronunciata sulla richiesta di ammissione ai programmi di giustizia riparativa avanzata dall’imputato nel processo per l’omicidio di Carol Maltesi.

Su Terzultima Fermata avevamo informato (a questo link per la consultazione) che a Milano a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina organica della giustizia riparativa (artt. 42-60, 92 e 93 D. Lgs. 150 del 2022) è stato elaborato, con il contributo concorde della Corte di appello, del Tribunale di Sorveglianza, del Tribunale Ordinario, della Procura Generale presso la Corte di Appello, della Procura della Repubblica presso il Tribunale, dell’Ordine degli Avvocati di Milano, della Camera penale di Milano, uno “Schema operativo per l’applicazione degli istituti della giustizia riparativa”.

L’entrata in vigore differita al 30 giugno 2023 della nuova disciplina organica della giustizia riparativa (artt. 42-60, 92 e 93 D. Lgs. 150 del 2022) suggerisce che, per una diffusione ordinata ed uniforme dei nuovi istituti, vi siano prassi condivise tra i diversi soggetti nell’ambito del procedimento penale.

Dalla teoria alla prassi, oggi la notizia dell’ordinanza ammissiva nel procedimento per l’omicidio di Carol Maltesi ha suscitato molte reazioni (il provvedimento in esame, pubblicato assieme ad un commento dalla rivista Giurisprudenza Penale, è consultabile e scaricabile a questo link).

In udienza, l’imputato ha ribadito la propria volontà di riparare in concreto alla gravissima condotta posta in essere, sostenendo di avere “un grande bisogno di farlo” e chiedendo alla Corte di permettergli di fare qualsiasi cosa, percorsi, di seguire programmi, qualsiasi cosa sia possibile fare verso i parenti di Carol e anche verso altre associazioni” (fonte: Corriere della Sera).

Alla richiesta si erano opposti sia il procuratore generale e sia le parti civili ma la Corte d’assise ha sottolineato che l’avvio di un percorso di giustizia riparativa prescinde dal consenso di tutte le parti interessate e, nel caso concreto, lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa – laddove ritenuto esperibile dai mediatori anche con “vittima cd. aspecifica” – può comunque essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede, giacché la ratio dell’istituto è quella di ricomporre la frattura che il fatto illecito crea non solo tra autore e vittima del reato, ma anche all’interno del contesto sociale di riferimento.

L’istituto di cui è stata chiesta l’applicazione, infatti, ha anche, se non soprattutto, natura pubblicistica ed ha lo scopo ulteriore di far maturare un clima di sicurezza sociale, sicché la volontà del legislatore è indubbiamente di incentivare il ricorso a detto strumento, come chiaramente emerge dall’art. 43, comma 4, d.lgs. 150/2022, secondo cui l’accesso ai programmi di giustizia riparativa è sempre favorito.

Quanto al rilievo dell’attuale fase processuale (si è concluso il primo grado e non è ancora decorso il termine per l’impugnazione della sentenza), la Corte d’assise ha evidenziato che la valutazione dell’istanza di accesso ad un programma di giustizia riparativa non dipende dal momento processuale in cui viene presentata, posto che, ai sensi del terzo comma dell’art. 129 bis c.p.p., l’invio al Centro per la giustizia riparativa può essere disposto anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (ed addirittura anche nella fase delle indagini preliminari).

Lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa da parte dell’imputato non comporta alcun pericolo concreto per l’accertamento dei fatti – già giudicati in primo grado – e non sussiste neppure un pericolo concreto per gli interessati.