Il passaparola da sempre rappresenta lo strumento pubblicitario più efficace ed economico a disposizione degli avvocati.
La reputazione e la professionalità nell’esercizio quotidiano della professione erano e sono ancora per alcuni il biglietto da visita da spendere per allargare la clientela in barba alla pubblicità condita di premi e attestati o prezzi stracciati.
Il presenzialismo forsennato sulle piattaforme social, agli eventi e nell’inesauribile convegnistica, il possesso di un sito web di studio curato da un web master (o forse web engineer o graphic designer? Boh, manco lo so scrivere a momenti) mettendo in bella vista un sacco di fotine di tutti i collaboratori (comprese quelle dei/delle segretari/segretarie per chi può ancora permetterseli/e) quasi a sottolineare le dimensioni ciclopiche e la coralità dell’impegno, tutto questi strumenti sono ormai un must (stavo per scrivere mast, tutto questo inglese mi sfinisce, meno male che c’è il socio, lui sì che lo sa l’inglese).
Eppure mi chiedo se debba essere per forza così e, da avvocato ormai stagionato, tendo a rispondermi che no, che c’è ancora un’altra strada possibile.
In realtà il web sembra una scorciatoia e il modello dell’avvocato prezzemolino/a sempre presente ad iniziative e convegni come moderatore, relatore o portatore di saluti vari deve continuare a temere il vecchio passaparola.
Il tam-tam, la parola che passa e rimbalza dall’uno all’altro, esistono ancora e, per quanto strumenti lenti e faticosi, sono a mio avviso il miglior modo per incrementare la credibilità di un avvocato e quindi l’acquisizione di una clientela stabile.
Certo la “concorrenza” di chi si propone a prezzi stracciati si sente ma ha senso contare su assistiti per i quali la qualità professionale è una variabile irrilevante e comunque pronti a cambiare a favore del miglior offerente?
Alle lusinghe del web è difficile resistere, vediamo una interminabile sequela di premi farlocchi, serate sgargianti a pagamento e tutto l’armamentario pubblicitario di siti, offerte a prezzi stracciati o addirittura “a gratis” come si dice a Roma.
Quanto sono lontani quei tempi quando l’avvocatura diffidava del web e nonostante l’avvento di Internet il Consiglio Nazionale Forense pronunciava la seguente sentenza deontologica: “il ripudio di mezzi pubblicitari di ogni genere costituisce tradizione e vanto dell’Avvocatura italiana, che nel corso di decenni ha sempre confermato il rifiuto di forme di emulazione diverse da una dignitosa gara di meriti dimostrati attraverso le opere e lo studio”.
Non risale ad un secolo fa ma solo al 2014.
Sicuramente oggi potrebbe suonare anacronistica e la riforma del maggio del 2016 ha aperto ai social networks e il web marketing ha preso piede nella categoria forense.
Caduti i limiti legati alle modalità informative, la presenza degli avvocati in rete è aumentata in modo esponenziale: lo testimonia il numero sempre crescente di studi legali che ogni anno scelgono di investire nel web marketing e nella comunicazione.
Internet è sicuramente un canale rapido che raggiunge potenzialmente molte persone ma alcuni accadimenti dimostrano che può essere controproducente per gli avvocati che si lasciano prendere la mano.
Il “legal marketing” ha superato i vincoli legati al mezzo informativo ma rimangono i canoni deontologici dei doveri e responsabilità a cui è tenuto all’osservanza l’avvocato.
Quindi la pubblicità autoreferenziale e a prezzi stracciati sarebbe, uso il condizionale perché nonostante le sentenze del CNF sono dozzine i casi, deontologicamente scorretta: La “pubblicità” professionale non può fare leva sui prezzi, specie se troppo bassi.
La pubblicità mediante la quale il professionista con il fine di condizionare la scelta dei potenziali clienti, e senza adeguati requisiti informativi, offra prestazioni professionali, viola le prescrizioni normative, nel momento in cui il messaggio è redatto con modalità attrattive della clientela operate con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità e con il decoro, quale l’uso del termine “gratuito” (Nel caso di specie, il professionista pubblicava nel proprio sito internet un annuncio nel quale reclamizzava la propria attività ed evidenziava i prezzi bassi, precisi e chiari, primi appuntamenti gratuiti nonché l’applicazione di tariffe basse e riscossione degli onorari a definizione delle pratiche).
Ed ancora: La “pubblicità” professionale non deve essere comparativa né autocelebrativa.
L’informazione sull’attività professionale, ai sensi degli artt. 17 e 35 codice deontologico (già artt. 17 e 17 bis codice previgente), deve essere rispettosa della dignità e del decoro professionale e quindi di tipo semplicemente conoscitivo, potendo il professionista provvedere alla sola indicazione delle attività prevalenti o del proprio curriculum, ma non deve essere mai né comparativa né autocelebrativa (Nel caso di specie, il professionista pubblicava nel proprio sito internet un annuncio nel quale reclamizzava la propria attività ed evidenziava i prezzi bassi, precisi e chiari, primi appuntamenti gratuiti nonché l’applicazione di tariffe basse e riscossione degli onorari a definizione delle pratiche).
Infine, i limiti deontologici alla pubblicità professionale (dopo il c.d. Decreto Bersani): I principi in tema di pubblicità di cui alla legge 248/2006 (c.d. Decreto Bersani), pur consentendo al professionista di fornire specifiche informazioni sull’attività e i servizi professionali offerti, non legittimano tuttavia una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici, giacché la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall’Ordinamento affidata al potere – dovere dell’ordine professionale.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Vannucci), sentenza n. 23 del 23 aprile 2019
Quindi pubblicità sì ma con il rispetto e la consapevolezza del vecchio adagio che il passaparola tra assistiti rimane una garanzia di serietà e professionalità magari dimostrata “con opere e studio” come richiedeva la sentenza del CNF del 2014.
