Il segreto professionale del giornalista e la sua tutela nella visione della Cassazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 7337/2023, udienza dell’11 gennaio 2023, si inserisce in una vicenda giudiziaria nella quale un giornalista è indagato per ricettazione per avere rivelato un atto di indagine coperto da segreto e subisce un sequestro probatorio finalizzato alla scoperta della sua fonte, provvedimento annullato dal competente tribunale del riesame.

Contro tale annullamento ricorre il PM che procede.

Si espongono adesso i passaggi cruciali della motivazione della sentenza in commento.

Motivi di ricorso

Contro detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il PM che ha dedotto violazione di legge e il vizio di motivazione, in primo luogo, per avere il tribunale omesso di considerare che, nel caso in esame, sussistevano i presupposti per procedere al sequestro probatorio nei confronti del predetto indagato, non avendo i giudici di merito considerato che lo stesso non era un giornalista professionale iscritto all’Albo bensì un giornalista pubblicista che non poteva beneficiare delle garanzie previste dall’ art. 200 c.p.p. in tema di segreto professionale.

Ha osservato, ancora, che la condotta del giornalista – che aveva divulgato un atto di indagine coperto ancora da segreto (la video ripresa di un atto omicidiario) – non poteva ritenersi scriminata avendo egli violato una norma penale e che sussistevano i presupposti per procedere al provvedimento ablativo nei confronti del giornalista in ragione della indispensabilità della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procedeva, della impossibilità di accertare, altrimenti, la notizia in possesso del giornalista e sussistendo una stretta proporzionalità fra il vincolo e quanto necessario per l’ accertamento del fatto.

Ha precisato, infine, che eseguito il sequestro, il supporto era stato restituito l’indomani all’ indagato, con cancellazione, dalla copia forense estratta, di tutti i dati non necessari alle indagini.

Decisione della Corte di cassazione

…Giurisprudenza di legittimità

Deve richiamarsi il quadro di principi da tempo affermato in sede di legittimità (vedi Sez. 6, n. 40380 del 31/05/2007, dep. 31/10/2007, Rv. 237917; Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, Rv. 2520549), secondo cui il sequestro probatorio disposto nei confronti di un giornalista professionista deve rispettare con particolare rigore il criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo di cui egli è destinatario e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini, evitando quanto più è possibile indiscriminati interventi invasivi nella sua sfera professionale.

…Giurisprudenza della Corte EDU

La stessa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha, in più occasioni, avuto modo di sottolineare come la libertà di espressione costituisca uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, precisando che le garanzie da accordare alla stampa rivestono una importanza particolare.

Già nel 1996, la Grande Camera ha affermato nella sentenza Goodwin contro Regno Unito ([GC] 27 marzo 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996- 11) quanto segue: «La tutela delle fonti giornalistiche è una delle pietre angolari della libertà di stampa, come risulta dalle leggi e dai codici etici in vigore in molti Stati contraenti e come ulteriormente affermato in diversi strumenti internazionali sulle libertà giornalistiche …. L’assenza di tale protezione potrebbe scoraggiare le fonti giornalistiche dall’aiutare la stampa ad informare il pubblico su questioni di interesse pubblico. Di conseguenza, la stampa potrebbe essere meno in grado di svolgere il suo indispensabile ruolo di “cane da guardia” e la sua capacità di fornire informazioni accurate e affidabili potrebbe essere ridotta. In considerazione dell’importanza della protezione delle fonti giornalistiche per la libertà di stampa in una società democratica e degli effetti negativi che un ordine di divulgazione può avere sull’esercizio di tale libertà, tale misura può essere conciliata con l’articolo 10 della Convenzione solo se è giustificata da un interesse pubblico prevalente….In generale, la “necessità” di qualsiasi restrizione all’esercizio della libertà di espressione deve essere stabilita in modo convincente …. Certo, spetta in primo luogo alle autorità nazionali valutare se esiste una “pressante necessità sociale” in grado di giustificare tale restrizione, esercizio per il quale godono di un certo margine di discrezionalità. Tuttavia, la discrezione nazionale si scontra con l’interesse della società democratica a garantire e mantenere la libertà di stampa. Analogamente, a tale interesse deve essere dato grande peso nel determinare, come richiesto dall’articolo 10, comma 2, se la restrizione sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito. In breve, le limitazioni alla riservatezza delle fonti giornalistiche richiedono l’esame più scrupoloso da parte della Corte. Nell’esercizio della sua funzione di controllo, la Corte non ha il compito di sostituirsi ai giudici nazionali, ma di riesaminare, ai sensi dell’articolo 10, le decisioni da essi adottate secondo il loro potere discrezionale. A tal fine, la Corte deve considerare l'”ingerenza” di cui trattasi alla luce della causa nel suo complesso, al fine di determinare se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla appaiano “pertinenti e sufficienti”.»

Nella sentenza Voskuil c. Paesi Bassi (n. 64752/01, § 67, 22 novembre 2007), in risposta all’affermazione del governo secondo cui la divulgazione della fonte era stata necessaria per garantire un processo equo all’imputato, la Corte ha dichiarato: «La Corte non vede la necessità, in questo caso, di esaminare se, in qualsiasi circostanza, l’obbligo che incombe a una parte contraente di garantire un processo equo possa giustificare l’obbligo per un giornalista di rivelare la sua fonte. Indipendentemente dalla potenziale importanza per il procedimento penale delle informazioni che la Corte d’Appello ha voluto ottenere dalla ricorrente, non le è stato impedito di valutare nel merito le accuse mosse ai tre imputati; sembra che sia stata in grado di sostituire le prove che aveva chiesto di ottenere dalla ricorrente con quelle ottenute da altri testimoni ….Di conseguenza, questo motivo che giustificherebbe l’interferenza contestata è irrilevante.»

Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che il diritto dei giornalisti al silenzio delle loro fonti non può essere considerato un mero privilegio concesso o revocato sulla base della liceità o illegittimità delle loro fonti, ma è un autentico attributo del diritto all’informazione, che deve essere trattato con la massima circospezione (cfr. Tillack c. Belgio, n. 20477/05, § 65, 27 novembre 2007). Inoltre, l’apparente coinvolgimento dei giornalisti nell’identificazione di fonti anonime ha sempre un effetto inibitorio (cfr. Financial Times Ltd e altri c. Regno Unito, n. 821/03, § 70, 15 dicembre 2009).

Nella sentenza Sanoma Uitgevers B.V. contro i Paesi Bassi ([GC], n. 38224/03, § 51, 14 settembre 2010), la Grande Camera ha ricordato: “La Corte ha sempre sottoposto a un esame particolarmente attento le garanzie di rispetto della libertà di espressione nei casi previsti dall’articolo 10 della Convenzione. Considerata l’importanza della protezione delle fonti giornalistiche per la libertà di stampa in una società democratica, un’ingerenza può essere considerata compatibile con l’articolo 10 della Convenzione solo se giustificata da un’esigenza imperativa di interesse pubblico (…)».

Successivamente la Corte EDU ha ribadito il quadro di principi sopra delineato, stabilendo che nei casi di ispezione presso abitazioni o luoghi di lavoro appartenenti a giornalisti con l’intento di raccogliere prove o indizi di violazione del segreto professionale, si è in presenza di una violazione della libertà dei giornalisti, protetta dall’art. 10, d ricevere o comunicare informazioni (Corte EDU, Sezione 5^, 20 marzo 2012 – 12 aprile 2012, Martin e altri c. Francia).

In tal caso, in particolare, la Corte di Strasburgo ha stabilito che le perquisizioni nel domicilio e nell’ufficio di un giornalista, il sequestro di supporti informatici e documenti disposti dall’Autorità giudiziaria per individuare la fonte del giornalista che ha chiesto l’anonimato sono in contrasto con la su indicata disposizione convenzionale. Se il giornalista, dunque, agisce nel rispetto delle norme deontologiche e fornisce informazioni di interesse generale, il suo diritto alla libertà di espressione non può subire limitazioni, quand’anche la sua fonte abbia violato un obbligo di segretezza consegnandogli, o trasmettendogli, documenti riservati o coperti da segreto. L’attività di ispezione, pertanto, è stata ritenuta sproporzionata, mentre le ragioni addotte dalle competenti autorità per giustificarne l’esecuzione sono state ritenute pertinenti, ma non sufficienti, muovendo dal rilievo che gli interessi concorrenti – ossia la protezione delle fonti giornalistiche e la prevenzione e repressione dei crimini – non erano stati oggetto di un adeguato bilanciamento.

Nella prospettiva ermeneutica seguita dalla Corte EDU, infatti, la protezione delle fonti costituisce “una delle pietre angolari della libertà di stampa”: non assicurare tale forma di tutela “potrebbe dissuadere le fonti dei giornalisti dall’aiutare la stampa ad informare il pubblico su questioni di interesse generale”, non permettendo ai giornalisti di svolgere in modo effettivo il ruolo di “cani da guardia” proprio dei mezzi di comunicazione di massa.

Ancora di recente nel caso Jecker contro Svizzera, Corte europea per i diritti dell’Uomo Terza sezione con sentenza del 6 ottobre 2020 ha avuto modo di ribadire che in considerazione dell’importanza della protezione delle fonti giornalistiche per la libertà di stampa in una società democratica, l’obbligo per un giornalista di rivelare l’identità della sua fonte può essere riconciliato con l’articolo 10 della Convenzione solo se è giustificato da un’esigenza imperativa di interesse pubblico: non è sufficiente che l’ingerenza sia imposta perché il reato in questione rientra in una determinata categoria o è coperto da una norma giuridica formulata in termini generali, ma occorre piuttosto assicurarsi che sia necessaria nelle circostanze del caso.

Il diritto dei giornalisti al silenzio delle loro fonti non può essere considerato un mero privilegio concesso o revocato sulla base della liceità o illegittimità delle loro fonti, ma è un autentico attributo del diritto all’informazione, che deve essere trattato con la massima circospezione; il coinvolgimento dei giornalisti nell’identificazione di fonti anonime ha sempre un effetto inibitorio.

…Rilevanza del Patto internazionale sui diritti civili e politici

Va, altresì, ricordato che lo stesso Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo nel nostro ordinamento con L. 25 ottobre 1977, n. 881, prevede al riguardo un’ampia tutela per le attività di informazione e ricerca delle fonti, stabilendo, all’art. 19, comma 2, che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”. La stessa disposizione, inoltre, prevede, nel terzo comma, che “l’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui – b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche”.

…Il bilanciamento di interessi spettante al giudice

Ne consegue che è compito del giudice, come già stabilito costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, procedere ad un cauto, ed al tempo stesso rigoroso, bilanciamento fra le contrapposte esigenze rappresentate, da un lato, dal doveroso accertamento dei fatti e delle responsabilità in presenza di accadimenti che integrino una ipotesi di reato, e, dall’altro lato, dalla necessità di preservare il diritto del giornalista a cautelare le proprie fonti, in vista dell’espletamento della funzione informativa, considerata uno dei pilastri fondamentali delle libertà in una società democratica (Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, cit.).

Nel nostro ordinamento processuale, del resto, i limiti legali che devono preservare la legittimità degli atti di “interferenza” che l’Autorità giudiziaria è abilitata ad esercitare sono fissati nell’art. 200 c.p.p., comma 3, in base al quale il giudice può ordinare al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni solo in presenza delle due condizioni ivi tassativamente previste: a) che la rivelazione della fonte sia indispensabile per la prova del reato per il quale si procede, prendendo a riferimento fatti specifici in ordine ai quali si sviluppa l’attività di indagine, e non semplicemente riconducibili all’astratto nomen iuris; b) che le notizie non possano essere altrimenti accertate. Non basta, dunque, un semplice nesso di “pertinenzialità” tra le notizie ed il generico tema dell’indagine, ma occorre che l’ingerenza rispetto alle fonti rappresenti la extrema ratio cui ricorrere per poter conseguire la prova necessaria per perseguire il reato (Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, cit.).

…L’applicazione ai motivi di ricorso delle coordinate interpretative adottate dal collegio

Fatte tali doverose premesse osserva, in primo luogo, il collegio che il profilo dedotto dall’ufficio impugnante secondo cui era possibile procedere al sequestro probatorio nei confronti del ricorrente “non avendo i giudici di merito considerato che lo stesso non era un giornalista professionale iscritto all’ Albo bensì un giornalista pubblicista che non poteva beneficiare delle garanzie previste dall’ art. 200 c.p.p. in tema di segreto professionale” non può essere preso in esame in questa sede in quanto, a tacer d’ altro, trattasi di una questione afferente un profilo in fatto – l’ iscrizione o meno del ricorrente all’ Albo dei giornalisti – non devoluta nella fase di merito nel contraddittorio delle parti.

Occorre, quindi, rilevare che nel caso in esame parte ricorrente non si confronta con la compiuta e lineare spiegazione svolta dal tribunale in ordine alla insussistenza dei presupposti per l’emissione del decreto di sequestro probatorio da parte del PM, alla luce dei reati per cui si stava procedendo, dell’interesse investigativo e delle risultanze già acquisite nel momento in cui venne disposto il provvedimento ablativo, tenuto conto della condotta collaborativa del giornalista.

L’ordinanza impugnata ha, invero, giustificato l’annullamento del decreto di sequestro con una motivazione adeguata e coerente con le garanzie previste dall’art. 200 comma 3 e 256 cod. proc. pen. nonché con i principi sovranazionali suindicati in ordine al mancato rispetto del principio di proporzionalità in relazione alla disposizione del PM che prevedeva la copia forense del telefono cellulare del giornalista, non ravvisando la contestuale sussistenza dei tre requisiti, rappresentati: dalla “indispensabilità” della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procede; dalla “impossibilità” di accertare altrimenti la notizia in possesso del giornalista e dalla “stretta proporzionalità” tra il vincolo e quanto necessario per l’accertamento del fatto.

È, del resto, lo stesso ufficio impugnante a richiamare la “mancanza, contraddittorietà a manifesta illogicità della motivazione” in ordine all’ accoglimento dell’istanza di riesame, vizio di cui all’ art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., pacificamente non deducibile in questa sede per le ragioni già evidenziate.

…L’esito

Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.