Comunità virtuali di orientamento neonazista: non giochi di ruolo ma organizzazioni finalizzate alla violenza e alla discriminazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 38423/2023, udienza del 15 marzo 2023, si occupa del caso di una comunità virtuale di ispirazione neonazista.

Vicenda giudiziaria

Con ordinanza del 25/11/2022, depositata il 21/12/2022, il Tribunale del riesame di Roma, adito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha accolto l’appello del PM ed ha applicato la custodia cautelare in carcere nei confronti di [segue il nome del ricorrente] per il reato ex art. 604-bis, commi 2 e 3, cod. pen. così riformando l’ordinanza del GIP del Tribunale in sede in data 14/12/2021 che aveva ritenuto la sussistenza di gravi indizi a carico dell’indagato soltanto per il concorrente delitto ex art. 270-bis cod. pen.

Ha invece ritenuto il Tribunale cautelare che sussistano gravi indizi anche per l’imputazione cautelare ex art. 604-bis, commi 2 e 3, cod. pen., tratti dai contenuti delle comunicazioni svolte tra gli adepti sulle piattaforme social di pubblico accesso come [segue il nome della piattaforma] da cui è emersa l’esistenza di un sodalizio ispirato da [segue il nome degli indagati] denominato [segue il nome del gruppo] – dotato di una rudimentale struttura organizzativa composta da cellule territoriali, con coinvolgimento anche di persone giovanissime (tra i 10 e i 16 anni di età, che si riprometteva di creare le basi per un futuro colpo di Stato, preconizzato nel 2023, e che agiva anche a livello virtuale, mediante un’opera di propaganda ideologica e di reclutamento e indottrinamento di adepti. L’organizzazione era caratterizzata da una vocazione ideologica di estrema destra e propagandava idee xenofobe ed antisemite, con incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi, risultando detta propaganda molto attiva nella divulgazione di idee di natura suprematista della razza bianca e di negazionismo.

Sono state individuate esigenze cautelari di difesa sociale, ritenute concrete ed attuali, anche alla luce del ritrovamento di una base dell’organizzazione in un casolare, detto [segue il nome attribuito al luogo], e del rinvenimento di armi nella disponibilità del [segue il nome dell’indagato] all’atto dell’esecuzione della prima ordinanza cautelare. Si è altresì osservato che l’indagato — nello sminuire l’attività di propaganda in termini di black humor o di attività di gioco — ha dimostrato di non avere in alcun modo preso le distanze dall’ambiente criminale di riferimento.

Motivi di ricorso

Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il difensore del [segue il nome del ricorrente] deducendo i seguenti motivi di impugnazione.

Insussistenza delle dedotte esigenze cautelari.

Il ricorrente ha delineato la condotta dell’indagato come espressione della sua passione per i giochi informatici di magia e simulazione di guerra, passione condivisa da un gruppo ristretto di sei amici con i quali unicamente interloquiva servendosi di chat private intercorse sulla piattaforma social [segue il nome della piattaforma] senza alcuna finalità di divulgazione al pubblico, trattandosi di conversazioni confinate in una realtà ludica parallela.

Carenza di elementi probatori.

Quanto precede sostanzia anche la denunciata carenza del quadro indiziario, erroneamente ritenuto tale per una malintesa interpretazione delle conversazioni intercettate. Si censura che manchi nelle individuate condotte di reato ogni segnale di concreta pericolosità del fatto, requisito necessario ad assicurare il contemperamento tra il principio di non discriminazione ex art. 3 Cost. ed il diritto alla libera manifestazione del pensiero, garantito dall’art. 21 Cost. In tale ambito di gioco e di libertà di espressione privata vanno inserite le argomentazioni in tema di [segue il nome dell’argomento], prive di ogni finalità di propaganda ovvero di divulgazione di idee fondate sulla superiorità e/o sull’odio razziale.

Infine, si contesta l’attualità del pericolo di reiterazione dei reati, censurando anche l’inadempiuto obbligo di motivare la rilevanza del tempo trascorso dalla presunta commissione dei fatti all’applicazione della cautela.

La decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è inammissibile per le seguenti ragioni.

Iniziando per ordine logico dalla dedotta carenza del quadro indiziario, si osserva che tale critica è manifestamente infondata, alla luce delle emergenze probatorie tratte dai contenuti delle intercettazioni, tali da integrare i gravi indizi del delitto di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa ad opera dell’indagato, promotore ed organizzatore di un’associazione il cui principale motivo ispiratore è stato individuato nell’antisemitismo, nella propaganda di idee discriminatorie, nonché in un’attività di indottrinamento ideologico che sfociava di frequente nell’istigazione a commettere atti di violenza.

A fronte di tale obiettiva ricostruzione del quadro indiziario, operata nella impugnata ordinanza secondo criteri di interpretazione logica delle conversazioni intercettate, non diversamente valutabili nel giudizio di legittimità, risulta opportunistica e minimizzatrice la ricostruzione alternativa fornita dalla difesa, intesa ad accreditare che i contenuti scambiati tra gli adepti del fossero riferibili ad innocui giochi di ruolo.

Dalle chat intercettate, al contrario, l’impugnata ordinanza ha delineato la concreta offensività degli scambi di comunicazioni, intesi a dare corpo – come ha illustrato il giudice del riesame, con motivazione congrua e adeguata – al contestato reato, dimostrando che l’attività dell’associazione capeggiata dal [segue il nome dell’indagato] fosse assolutamente in grado di raggiungere un numero indeterminato di utenti, trattandosi di attività posta in essere sulla piattaforma social [segue il nome della piattaforma] e non già – come ancora sostiene la difesa – un’attività riservata ad una ristretta cerchia di amici.

Invero, l’esegesi di legittimità ha già affermato il principio per cui «Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione ad una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme social, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti» (Sez. 1, n. 4534 del 06/12/2021, dep. 2022, Rv. 282504).

Né potrebbe invocarsi – a discrimine di tali contenuti corrispondenti alla fattispecie delittuosa – la libertà di opinione e di parola, trattandosi del bilanciamento di interessi di rango costituzionale che hanno già trovato assetto definitivo nella incriminazione prevista dall’art. 604-bis cod. pen.

Infine, è sfornita di ogni fondamento, oltre che generica, la censura relativa alla pretesa assenza di esigenze cautelari, che invece sono state tangibilmente apprezzate nel ritrovamento del luogo che fungeva da base organizzativa, oltre che nel ritrovamento di armi nella disponibilità dell’indagato in sede di perquisizione effettuata all’atto di esecuzione della prima misura cautelare, quindi in un torno di tempo a ridosso del presente procedimento.

Esito del ricorso

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.