Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 26246/2023, udienza del 18 maggio 2023,propone un’interessante analisi dei poteri di controllo e impulso del giudice dell’udienza preliminare (d’ora in avanti GUP) nei confronti del pubblico ministero (di seguito PM) a fronte di eventuali inadeguatezze dell’imputazione.
Ricognizione del caso
Il primo motivo di ricorso – che contesta il segmento procedimentale in cui il giudice dell’udienza preliminare aveva affrontato l’eccezione di nullità del capo di imputazione per genericità – è infondato.
Venendo al primo dei temi critici prospettati dal ricorrente, il collegio osserva che l’esame degli atti del fascicolo, possibile in ragione della natura della censura, ha consentito di verificare che la sequenza attuata dal GUP è stata sostanzialmente corretta.
In primo luogo, il GUP, quando ancora si era nella fase dell’udienza preliminare, pur rigettando l’eccezione di indeterminatezza del capo di imputazione formulata dalla difesa dell’imputato, invitò il PM a precisare gli estremi dei conti correnti da cui erano state prelevate le somme distratte e degli assegni pure adoperati per le spoliazioni, facendo seguito proprio alle imprecisioni che la difesa aveva agitato a sostegno della propria mozione; a tale invito il PM diede immediatamente corso.
Solo successivamente a questa attività, il difensore munito di procura speciale avanzò istanza di definizione del procedimento con rito abbreviato non condizionato.
Correttezza della decisione del GUP
La verifica effettuata consente di giungere a due conclusioni, che smentiscono l’assunto del ricorrente.
La prima è che il GUP ha adottato una decisione che non risulta censurabile, laddove, di fronte a un capo di imputazione che recava l’indicazione delle attività distrattive, ancorché con riferimenti specifici in parte errati quanto ai conti correnti o alla valuta degli assegni, ha negato che le anomalie segnalate dalla difesa avessero posto in luce un difetto di tassatività. D’altra parte il ricorrente non formula alcuna contestazione specifica circa la pretesa indeterminatezza originaria, che non sarebbe stata colta dal GUP.
La seconda è che il GUP, nella fase in cui ha invitato il PM a precisare i dati inesatti, ha dato luogo ad un’attività che gli sarebbe stata consentita finanche laddove avesse ritenuto che sussistesse la più radicale anomalia denunziata dalla difesa, vale a dire che, effettivamente, il capo di imputazione fosse indeterminato; tale legittimazione gli proveniva proprio dalla sentenza della Sezioni unite penali citata nel ricorso (Sez. U., n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238239), che ha definito i compiti del GUP quanto al controllo della contestazione traendo dal sistema uno specifico schema procedimentale proprio per far fronte alle anomalie della contestazione.
L’influenza della decisione Battistella delle Sezioni unite penali
Nella predetta pronunzia, le Sezioni Unite erano chiamate a rispondere al quesito «se sia abnorme, e quindi ricorribile per Cassazione, il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione e disponga la restituzione degli atti al Pubblico Ministero».
Nel decidere la questione, la Corte ha compiuto un approfondito esame della struttura dell’udienza preliminare e dei compiti del GUP, attraverso una serie di passaggi che è necessario riportare – sia pure schematicamente – affinché siano chiare le ragioni, il senso e la portata della presente decisione.
In primo luogo le Sezioni unite hanno ricordato che la Corte costituzionale (sentenza 88/94) – nel delibare sulla legittimità costituzionale dell’art. 424 cod. proc. pen. – aveva già individuato dei percorsi propri dell’udienza preliminare – appannaggio del giudice della stessa – tesi a fronteggiare il rischio che il fatto risultasse, all’esito della deliberazione, diverso da come ipotizzato dalla pubblica accusa, individuando due meccanismi processuali atti allo scopo. In particolare la Consulta si riferiva allo strumento previsto dall’art. 423 cod. proc. pen. – testualmente riferibile alla diversità del fatto, ma ritenuto idoneo (come sancito anche in altre occasioni: sent. n. 265 del 1994 e n. 384 del 2006) a porre rimedio all’erroneità o all’incompletezza originaria dell’imputazione – ed all’applicazione analogica dell’art. 521 co. 2 codice di rito.
Ancora, allineandosi alla precedente pronunzia, con ordinanza n. 131 del 1995, la Corte costituzionale aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 417 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede alcuna sanzione per la richiesta di rinvio a giudizio difforme dal modello legale, siccome generica nella formulazione del capo d’imputazione e nell’indicazione delle fonti di prova, in quanto non è precluso al GUP «sollecitare il pubblico ministero a procedere alle necessarie integrazioni e precisazioni dell’imputazione» inadeguata, anche mediante un provvedimento di trasmissione degli atti che intervenga dopo la chiusura della discussione.
In linea con quanto sopra, la giurisprudenza di legittimità – si legge sempre in Sezioni Unite Battistella – aveva enucleato due meccanismi procedurali, riguardanti non solo il fatto diverso in senso stretto, ma anche l’imputazione generica o insufficiente.
Si tratta di due schemi, “uno, “interno” alla fase, che si risolve nell’invito o sollecitazione “interlocutoria” del giudice al titolare dell’azione penale ad esercitare nell’udienza preliminare i poteri attribuitigli dall’art. 423 cod. proc. pen. per precisare gli estremi del fatto contestato; l’altro “esterno” alla fase, che consiste nella trasmissione degli atti al PM all’esito dell’udienza preliminare perché eserciti nuovamente l’azione penale, in applicazione analogica dell’art. 521 cod. proc. pen., comma 2, norma dettata per l’accertamento della diversità del fatto all’esito del dibattimento.
Fatta questa premessa, le Sezioni unite hanno ritenuto sì abnorme il provvedimento del GUP del processo Battistella, siccome aveva determinato la regressione degli atti al PM, ma solo in quanto il giudicante non l’aveva fatta precedere da un invito all’organo di accusa a colmare le lacune evidenziate nell’imputazione, utilizzando l’art. 423 cod. proc. pen. nell’interpretazione estensiva avallata dalla Corte costituzionale di cui sopra si è detto.
Segnatamente il massimo Consesso ha reputato il sistema così delineato atto a fronteggiare situazioni diverse, che vanno dall’assenza del contenuto minimo indispensabile» alla mera «imperfezione e inadeguatezza per difetto di chiarezza e precisione dei fatti storici contestati», suscettibile di essere attuato dal momento della presentazione dell’atto introduttivo fino all’esito della discussione.
Così facendo — ha sostenuto la Corte — si assicura il pieno esercizio del diritto di difesa e si scongiura il rischio che, nell’eventuale futuro dibattimento, si concretizzi la situazione invalidante di cui all’art. 429 comma 2 cod. proc. pen., (laddove è sanzionata a pena di nullità la mancata enunciazione del fatto in forma chiara e precisa) e si determini la regressione del processo all’udienza preliminare, dove il PM dovrà adeguare l’imputazione alle censure mosse dal giudice del dibattimento.
Alla conclusione suddetta la Corte è giunta, oltre che fondando sull’anzidetta posizione del giudice delle leggi sul tema specifico, anche alla luce delle modifiche normative di cui alla L. n. 479 del 1999 e dei plurimi interventi della Corte costituzionale relativi all’udienza preliminare; quest’ultima, infatti, non si esaurisce in una mera verifica della correttezza dell’azione penale, ma in una fase procedimentale «in cui, per la completezza del quadro probatorio di cui il giudice dispone, per il potenziamento dei poteri riconosciuti alle parti in materia di prova e per l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice rispetto all’epilogo decisionale, è stimolata la valutazione del “merito” circa la consistenza dell’accusa, in base ad una prognosi sulla possibilità di successo nella fase dibattimentale (Cass., Sez. Un., 30/10/2002 n. 39915, Vottari).» Sulla base di questa premessa – ha statuito ancora la Corte – «deve pure convenirsi che l’intervento del giudice per assicurare la costante corrispondenza dell’imputazione a quanto emerge dagli atti costituisca un atto doveroso e un’esigenza insopprimibile, non solo a garanzia del diritto di difesa dell’imputato e dell’effettività del contraddittorio, ma anche al fine di consentire che il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell’azione penale si svolga in piena autonomia e si concluda eventualmente con una decisione di rinvio a giudizio che, nel fissare il thema decidendum, abbia ad oggetto un’imputazione riscontrabile negli atti processuali e sia supportata da specifiche fonti di prova in ordine ai fatti storici contestati con chiarezza e precisione, anziché un’imputazione priva di concreto contenuto materiale, inidonea a reggere l’urto della verifica preliminare di validità nella fase introduttiva del dibattimento.»
Di fronte a questa esigenza, il GUP – secondo le Sezioni unite – ha il “potere- dovere” di attivare i meccanismi correttivi nel corso dell’attività fisiologica della medesima udienza, rappresentando, con ordinanza motivata e interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche del vizio d’imputazione e richiedendo espressamente al PM di provvedere, di conseguenza, alle opportune precisazioni e integrazioni, secondo il paradigma contestativo dettato dall’art. 423, comma 1, cod. proc. pen.
A sua volta il PM non ha una mera facoltà di procedere all’adeguamento richiesto dal GUP, bensì – anche in forza del disposto dell’art. 124 comma 1, cod. proc. pen., sull’obbligo dei magistrati di osservare le norme processuali anche quando la loro inosservanza non importa nullità – il dovere di operare in conformità alle indicazioni del GUP al fine di una compiuta descrizione dell’ipotesi di accusa.
La sanzione all’eventuale inerzia del PM nel seguire l’indicazione del GUP è rappresentata dalla trasmissione degli atti al suo ufficio per il nuovo esercizio dell’azione penale, in virtù dell’applicazione analogica dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.
Commento
La decisione commentata è pienamente condivisibile in quanto delinea nel modo più corretto e fisiologico la relazione tra pubblica accusa e giudice nel contesto dell’udienza preliminare e lo fa senza banalizzare ed anzi sottolineando l’importanza che quella relazione ha per la messa a punto di un’imputazione allineata ai fatti acquisiti nelle indagini preliminari e chiara e completa quanto basta per assicurare la pienezza della difesa.
È ugualmente apprezzabile che il collegio di legittimità, cogliendo e assecondando lo spirito della sentenza Battistella, abbia attestato la proattività del ruolo del GUP, non limitandolo a verifiche puramente formali e notarili ma anzi assimilando ad un potere-dovere la sua opera di controllo ed impulso sulle proposizioni in ipotesi errate o comunque deficitarie dell’accusatore pubblico.
È infine quasi rivoluzionario per la sua rarità il richiamo alla norma contenuta nell’art. 124, comma 1, cod. proc. pen., normalmente trattata come se non esistesse o richiamata solo per ricordare che è solo un’indicazione di principio priva di capacità prescrittiva, con l’ulteriore precisazione – questa sì, rarissima – dell’obbligo del PM di dar corso alle indicazioni del GUP.
Questa sentenza, in conclusione, ha un’importanza che trascende il suo oggetto perché dimostra che il rispetto della corretta fisiologia procedimentale è possibile a legislazione vigente se solo si è disposti a non tradire il significato e lo scopo delle norme.
