Deposizione parte offesa costituita parte civile: la necessità dei riscontri alle dichiarazioni, sì, no, forse (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 36906/2023 ha ricordato che ove la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, ma ciò non configura un vero e proprio obbligo a carico del giudice di merito il quale rimane libero di valutare se la narrazione della persona offesa abbisogni o meno di elementi di riscontro estrinseci, risultando del tutto ragionevole escluderne la necessità, in caso di giudizio positivo sulla credibilità del dichiarante e sull’attendibilità intrinseca delle sue affermazioni, in assenza di elementi di segno opposto.
La Suprema Corte con riferimento alla deposizione della persona offesa osserva che conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico in tema di valutazione della prova dichiarativa, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale è inibita una rivalutazione in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni, non riscontrate nel caso al vaglio (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623 – 01 Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Rv. 250362).
Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano, dunque, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione.
Peraltro, non va trascurato, quanto alle operate censure rispetto al carattere interessato della deposizione della persona offesa costituita parte civile, che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., come è noto, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto che, peraltro, deve, in tal caso, essere più penetrante e rigoroso, rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Rv. 261730; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Rv. 250362).
Infine è stato rilevato dalla Suprema Corte nella sua composizione più autorevole che ove la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, ma ciò non configura un vero e proprio obbligo a carico del giudice di merito il quale rimane libero di valutare se la narrazione della persona offesa abbisogni o meno di elementi di riscontro estrinseci, risultando del tutto ragionevole escluderne la necessità, in caso di giudizio positivo sulla credibilità del dichiarante e sull’attendibilità intrinseca delle sue affermazioni, in assenza di elementi di segno opposto.