Avvocati casa e studio (di Riccardo Radi)

La crisi morde e molti avvocati prima di arrendersi optano per la soluzione casa-studio.

Sono in aumento i legali che per tagliare le spese si sono organizzati con la soluzione di ricavarsi una stanza all’interno dell’abitazione per la professione.

La scelta è dolorosa ed anche mortificante dopo anni di professione ma per sopravvivere e non rinunciare sembra per alcuni ineluttabile essere “costretti” a trovare in casa la possibilità di ricavarsi una stanza dedicata.

Un recente studio del Censis ha cristallizzato in numeri e percentuali la crisi della professione forense. Lo studio, rapporto 2022 sull’Avvocatura, ha evidenziato che la popolazione forense, dopo un lungo periodo di forte espansione numerica, ha subìto un arresto di recente, determinando addirittura un’inversione di tendenza nell’ultimo anno. Il dato 2021 degli iscritti a Cassa Forense è, a livello nazionale, di 241.830; di questi il 94,3% risulta attivo, mentre il restante 5,7% è rappresentato da pensionati contribuenti. Rispetto al 2020, si osserva una riduzione degli iscritti pari a 3.200 unità e una variazione negativa sull’anno dell’1,3%.

Fuga dalla professione che si è concretizzata nel 2021 con 8.707 cancellazioni dall’albo, il 68,8% delle quali (circa 6.000) relative a donne avvocato.

Circa il 30% degli avvocati fa una valutazione negativa del futuro della professione, il 46,7% non prevede grossi cambiamenti e solo il 23,3% appare più ottimista. Per questo, il 32,8%, si dice pronto ad appendere la toga al chiodo.

A spingere lontano dalle aule di Tribunale sono diversi fattori.

La motivazione è prevalentemente legata ai costi eccessivi che l’attività comporta a fronte di un ridotto riscontro economico.

Per contrastare i costi eccessivi che comprendono costi di studio, utenze, assicurazione professionale ecc. ecc.

A questo punto la domanda è d’obbligo ma l’avvocato è obbligato ad avere uno studio legale dedicato per poter svolgere la professione legale? La legge professionale e il codice deontologico cosa prevedono in proposito? Il tema è stato affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza del 21 gennaio 2021 per la lettura del provvedimento:

http://www.gazzettaamministrativa.it/servizicu/bancadatigari/viewnews/5463

La questione che qui interessa è la motivazione del Consiglio di Stato che ha stabilito che non esiste alcun obbligo per l’avvocato di esercitare la sua professione presso uno studio legale.

I giudici amministrativi hanno escluso che lo studio legale abbia la qualità di luogo pubblico o aperto al pubblico in quanto “né la legge professionale 31 dicembre 2012 n. 247, in particolare l’art. 7 di essa, relativo al domicilio, né il codice deontologico forense obbligano l’avvocato per esercitare la sua professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato”.

In particolare, l’art. 7 della legge n. 247/2017 prevede solo che l’avvocato abbia un “domicilio”, ovvero in termini semplici un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione.

Pertanto, l’apertura di uno studio come comunemente inteso rientra nella libera scelta del professionista.

In conclusione, l’avvocato non è obbligato a disporre di uno studio ed il relativo incarico professionale si può sempre svolgere. La legge n. 247/2012 e il codice deontologico non vietano infatti in generale che il difensore, per svolgere il proprio mandato, possa recarsi presso la parte, in un luogo che essa ritiene adeguato alle proprie esigenze.

La soluzione casa-studio riuscirà a fermare l’emorragia che si è concretizzata nel 2021 con 8.707 cancellazioni dall’albo?