Differimento facoltativo della pena per grave infermità fisica (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 37086, udienza camerale dell’8 giugno 2023, ha affrontato nei termini che seguono la questione del differimento facoltativo della pena detentiva per grave infermità fisica.

Anche in tema di differimento facoltativo della pena detentiva, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2), cod. pen., è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, ossia tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, e che poi si operi un bilanciamento tra l’interesse del condannato a essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività, così che nella relativa sintesi siano osservati i principi costituzionali della conformità della pena al senso di umanità e della sua costante funzionalizzazione al fine rieducativo, nel rispetto del diritto alla salute del condannato, tenuto sempre conto che l’art. 147, ultimo comma, cod. pen. stabilisce che il differimento non può essere adottato o, se è stato adottato, va revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti.

Pertanto, quando sia formulata l’istanza di rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato risultino o meno compatibili con la finalità rieducativa della pena stessa e, dunque, con la concreta prospettiva di reinserimento sociale ad essa consentanea.

Si può, in tal senso, addivenire all’accoglimento dell’istanza solo allorquando, effettuata la ponderazione degli elementi caratterizzanti la concreta situazione e tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam, si stabilisca che l’espiazione della pena in quelle condizioni sarebbe contraria al senso di umanità per le sproporzionate sofferenze che ne deriverebbero, oppure sarebbe ormai priva di significato rieducativo a causa della fattuale impossibilità di dare una qualsivoglia apprezzabile prospettiva futura agli effetti della sanzione detentiva sul condannato, avendo riguardo anche agli stati morbosi o al generale scadimento fisico in grado talmente avanzato da determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità, da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria (v., fra le altre, Sez. 1, n. 2337 del 13/11/2020, dep. 2021, Rv. 280352 – 01; Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019, Rv. 276413 – 01; Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014, Rv. 258406 – 01; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, Rv. 244132 – 01).

È, d’altro canto, conseguente con tali coordinate l’ulteriore specificazione secondo cui il giudice che, in presenza di dati o documentazione clinica attestanti l’incompatibilità delle condizioni di salute del condannato con il regime carcerario, ritenga di non accogliere l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per motivi di salute deve basarsi su dati tecnici concreti disponendo gli accertamenti medici necessari e, all’occorrenza, nominando un perito (Sez. 1, n. 39798 del 16/05/2019, Rv. 276948 – 01; Sez. 1, n. 54448 del 29/11/2016, Rv. 269200 – 01).

Il giudice – chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o anche sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute – deve, dunque, effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto, valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (Sez. 1, n, 37062 del 09/04/2018, Rv. 273699 – 01), sempre operando la verifica inerente alla compatibilità o meno delle condizioni di salute rilevate con le finalità rieducative della pena, alla stregua di un trattamento rispettoso del senso di umanità, che tenga conto della durata della pena e dell’età del condannato, comparativamente con la sua pericolosità sociale (Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018, Rv. 274879 – 01).

Muovendo dal concetto secondo cui l’insussistenza delle condizioni richieste per la concessione del rinvio facoltativo od obbligatorio dell’esecuzione della pena preclude, di massima, l’applicabilità della detenzione domiciliare per un periodo di tempo determinato previsto dall’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., in quanto tale istituto è privo di un ambito applicativo autonomo, potendo – la relativa misura – essere riconosciuta, in via surrogatoria, a condizione che ricorrano i presupposti legittimanti il differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen., e pur tenendo conto della specificazione in base alla quale, se, in costanza di gravi infermità, il condannato presenti margini di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato stesso e quelle della difesa sociale, facciano ritenere necessario un residuo e più tenue controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento facoltativo della pena, la detenzione domiciliare per il termine di durata stabilito e prorogabile (v. le indicazioni provenienti dai diversi angoli prospettici da cui si sono poste Sez. 1, n. 21355 del 01/04/2021, Rv. 281225 – 01; Sez. 1, n. 31845 del 15/03/2019, non mass.; Sez. 1, n. 25841 del 29/04/2015, Rv. 263971 – 01; Sez. 1, n. 4750 del 14/01/2011, Rv. 249794 – 01), deve concludersi che il Tribunale ha, in modo adeguato e coerente, scartato anche la concreta possibilità dell’applicazione dell’istituto surrogatorio di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., stante la persistente compatibilità delle condizioni fisiche del detenuto con il regime inframurario.