La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 37036 depositata l’8 settembre 2023 è stata chiamata a disquisire se le espressioni “buffoni“, “pagliacci“, “coglionazzi vestiti a festa” siano denigratorie.
I giudici del Palazzaccio si sono messi di buona lena richiamando anche precedenti sul punto.
La Corte di merito aveva ritenuto sussistente l’esimente del diritto di critica, con particolare riferimento al requisito della continenza, che le parti civili ricorrenti ritengono superato.
A questo proposito, la Corte territoriale ha ritenuto che le espressioni, “buffoni“, “pagliacci“, “coglionazzi vestiti a festa”, seppur irridenti, rientrassero nell’uso comune, non avessero un’accezione particolarmente denigratoria ed offensiva e fossero funzionali a evidenziare che gli intervistati avevano ingigantito il problema dei richiedenti asilo.
Ebbene, la cassazione dissente da questa conclusione in quanto si ritiene, al contrario, che l’espressione “coglionazzi vestiti a festa” abbia travalicato il limite suddetto.
In linea teorica, si rammenta che, secondo un approccio ermeneutico consolidato della Suprema Corte, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti e immotivatamente aggressivi dell’altrui reputazione, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573; Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C., Rv. 267866; Sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442).
Fatte tutte queste premesse, la cassazione ritiene che l’epiteto “coglionazzi” (deformazione del termine “coglione”) sia marcatamente dispregiativo, giacché, nell’accezione comune e al di là del significato letterale di “testicolo“, tale termine definisce un soggetto stupido e incapace, tanto da essere considerato ridicolo.
Se così è, se ne deve ricavare che si tratta di un epiteto idoneo ad umiliare la persona cui si riferisce e ad attirare su quest’ultima il pubblico ludibrio, denigrandola innanzitutto per le sue caratteristiche personali e non rivolgendole una critica, sia pur aspra e sprezzante, ma che sia precipuamente diretta al solo comportamento del destinatario.
Non si comprende, inoltre, quale sia la funzionalità dell’espressione rispetto al dibattito in ordine ai richiedenti asilo, trattandosi di un’espressione certamente esorbitante rispetto al tema in discussione e idonea solo a dare luogo ad un attacco personale e a svilire i soggetti cui si riferiva, denunziandone un’inadeguatezza personale.
In questo senso, si segnala che, rispetto al termine “coglione“, questa Corte si è già espressa, reputandolo esorbitante rispetto al limite della continenza (Sez. 5, n. 29489 del 3/4/2019, non massimata).
Lo stesso non può dirsi quanto alle espressioni “buffoni” e “pagliacci“, sia per la loro connotazione non particolarmente dispregiativa — che rimanda solo ad un particolare esibizionismo del soggetto cui si riferiscono– sia perché tali termini potevano apparire funzionali a rendere plasticamente il fulcro della critica mossa dall’imputata alle persone offese, vale a dire quella di avere enfatizzato — diffondendo in un’emittente nazionale il loro punto di vista e, secondo la prevenuta, mistificando il reale seguito della loro iniziativa — l’impatto che l’accoglienza dei richiedenti asilo aveva avuto sulle condizioni di sicurezza e di decoro della città di Gorizia.
Quindi buffoni e pagliacci ancora ancora ma coglionazzo proprio no.
