Autopromozione del magistrato candidato ad un ruolo dirigenziale e discredito dei concorrenti: sono rilevanti disciplinarmente (di Vincenzo Giglio)

Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza n. 26283/2023 (allegata alla fine del post in forma anonimizzata), hanno rigettato il ricorso di un magistrato avverso la decisione della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM) che gli aveva inflitto la sanzione della censura per avere, nella qualità di concorrente per l’attribuzione di un incarico semidirettivo (presidente della sezione penale di un tribunale), interloquito impropriamente con vari componenti del CSM, con uno dei quali era legato da un rapporto amicale e dalla comune appartenenza alla stessa corrente associativa, allo scopo di perorare la propria candidatura e ottenere la nomina desiderata in modo sollecito e all’unanimità.

Si rinvia alla lettura della sentenza per la conoscenza della vicenda disciplinare, dei motivi di ricorso e delle argomentazioni utilizzate dalle Sezioni unite per il rigetto del ricorso.

Qui si aggiunge soltanto una sottolineatura.

A seguito delle temperie che hanno sconvolto la composizione e le attività dell’organo di autogoverno della magistratura nella scorsa consiliatura e delle rivelazioni conseguenti alla discovery in sede penale delle comunicazioni del Dr. Luca Palamara, già magistrato, presidente dell’Associazione nazionale magistrati e componente del CSM, il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dopo essere entrato in possesso di quelle comunicazioni in quanto trasmesse al suo ufficio dalla procura della Repubblica procedente, ha inteso regolare, tramite un’apposita direttiva (anch’essa allegata al post), i criteri di valutazione ai fini disciplinari delle moltissime conversazioni intercettate dalle quali emergevano condotte di autopromozione di magistrati interessati all’assegnazione di postazioni professionali messe a bando dal CSM medesimo.

Il PG si esprimeva in questi termini:

l’attività di autopromozione, effettuata direttamente dall’aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari, non essendo ‘gravemente scorretta’ e in sé idonea a condizionare l’esercizio delle prerogative disciplinari“.

Nella sede decisoria del caso in esame, il PG presso la Cassazione, in coerenza alla predetta direttiva, pur riconoscendo la grave scorrettezza della condotta dell’incolpato, aveva chiesto il non luogo a procedere nei suoi confronti per la scarsa rilevanza della condotta medesima che si era risolta esclusivamente in una sorta di autopromozione.

La Sezione disciplinare, come si è visto, ha invece irrogato la sanzione, escludendo l’esistenza dell’esimente della scarsa rilevanza.

Dinanzi alle Sezioni unite lo stesso ufficio del PG, verosimilmente sulla scorta di un mutato orientamento, ha chiesto invece dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Viene dunque sconfessata, o quantomeno di molto ridimensionata, la visione di quell’ufficio e si riconosce l’inescusabile gravità di condotte che hanno condizionato eccome le prerogative consiliari, contribuendo a tarare le scelte dell’organo di autogoverno su logiche di appartenenza piuttosto che di merito e comportando per ciò stesso l’ingiusto sacrificio di candidati che potevano contare solo su titoli acquisiti sul campo e col loro lavoro quotidiano piuttosto che in contesti di rappresentanza associativa.