Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 33589/2023, udienza del 27 aprile 2023, chiarisce che la connessione di un reato con altri attribuiti alla giurisdizione italiana non lo rende per ciò stesso perseguibile in Italia.
Il caso in esame ricade nell’ipotesi del delitto commesso dallo straniero in territorio estero, senza che si rinvenga un danno per lo Stato italiano o per un cittadino italiano.
Risulta pacifico, invero, che il cittadino albanese MS ha ricevuto il denaro provento di delitto in un conto corrente bancario acceso presso un istituto di credito del Regno di Belgio, attraverso un bonifico disposto ed eseguito da un conto corrente proveniente dalla Lituania.
Deve ulteriormente ribadirsi che non ha fondamento giuridico l’argomento speso dal tribunale, là dove precisa che – ancorché l’indagato abbia ricevuto i soldi in Belgio – è “ragionevole presumere” che abbia avuto la disponibilità del denaro nel luogo di residenza.
La motivazione, invero, risulta contraddittoria, perché riconosce che i soldi sono stati ricevuti in Belgio, epperò fa riferimento al luogo in cui esso è stato di fatto speso; ciò che rileva, però, ai fini della configurazione del delitto di ricettazione è la ricezione (che il tribunale riconosce come avvenuta in Belgio), mentre l’eventuale uso successivo del bene (o del denaro) ricevuto rimane ininfluente per il perfezionamento del delitto di ricettazione.
L’unico elemento allo stato emergente dalla motivazione dell’ordinanza impugnata è, dunque, il trasferimento estero su estero di una somma di denaro provento di delitto.
Sulla base di tale unica emergenza e in mancanza di ulteriori elementi fattuali utili a ricondurre la giurisdizione nel territorio italiano, va ribadito che «In considerazione della natura istantanea del reato di ricettazione, il quale si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, nessun rilievo può attribuirsi, ai fini della perseguibilità in Italia, al luogo in cui viene accertata la detenzione della “res illicita” (fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto commesso all’estero il delitto di ricettazione commesso da un cittadino straniero, annullando senza rinvio la sentenza impugnata per difetto della condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della giustizia prevista dall’art. 10 cod. pen.)», (Sez. 2, sentenza n. 38230 del 06/10/2010, Rv. 248538 – 01; Sez. 2, sentenza n. 20198 del 14/04/2003, Rv. 225725 – 01; Sez. 2, sentenza n. 2672 del 24/05/1994, Rv. 198158 – 01).
Da ciò discende che l’esame del fatto – così come contestato – non offre alcun elemento idoneo a fondare la giurisdizione della Repubblica Italiana.
I giudici del merito, pur consapevoli di ciò, hanno ritenuto che la giurisdizione dello Stato potesse fondarsi in ragione della connessione del delitto in esame con i fatti di riciclaggio pacificamente commessi in Italia.
Va però rimarcato come non vi sia una norma che preveda l’attribuzione della giurisdizione allo Stato per effetto della connessione.
In tal senso si è già espressa la Corte di cassazione, che ha chiarito che «In tema di giurisdizione su reati commessi all’estero, in assenza di un fondamento normativo, anche di diritto internazionale, idoneo a derogare al principio di territorialità, non sussiste la giurisdizione del giudice italiano su reati commessi dallo straniero in danno di straniero e interamente consumati nel territorio di uno Stato estero, seppure connessi con reati commessi in Italia (in applicazione del principio, la Corte ha escluso la giurisdizionale nazionale sui reati di sequestro di persona a scopo di estorsione, tortura e violenza sessuale commessi in territorio libico nei confronti di immigrati poi trasportati illegalmente in Italia, anche se ritenuti connessi con quelli di associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, invece rientranti nella giurisdizione italiana, Sez. 5, sentenza n. 48250 del 12/09/2019, Rv. 277245 — 01).
Tale attribuzione della giurisdizione non può avvenire per effetto dell’art. 16 cod. proc. pen., per come ritenuto dal tribunale, che in tal guisa fa assurgere la connessione a criterio autonomo di individuazione della giurisdizione italiana per fatti commessi al difuori del territorio dello Stato, senza alcun danno per lo Stato o per il cittadino Italiano.
Va precisato, infatti, che, sebbene le ipotesi di connessione contemplate dal codice di rito integrino un criterio di attribuzione della competenza in materia penale, in tale ambito non si ha alcuna disposizione che determini la produzione di eventuali effetti in materia di giurisdizione, se non quelli relativi al riparto di attribuzioni tra giudice ordinario e giudici speciali, come il giudice militare ex art. 13 c.p.p. E difatti, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di attribuire rilevanza alla connessione di cui all’art. 12 c.p.p., anche tra reati commessi all’estero e illeciti perpetrati in Italia, solo ai fini della determinazione del giudice competente (Sez. 1, n. 14666 del 18/03/2008, Rv. 239706), e non anche ai fini dell’affermazione della potestà punitiva dello Stato rispetto a fatti eccedenti i limiti territoriali della sua giurisdizione.
Qualora vengano in considerazione fatti commessi interamente all’estero, seppure connessi ad altri che abbiano radicato la giurisdizione italiana, in assenza di un fondamento normativo idoneo a derogare al principio di territorialità, non può dunque ritenersi giustificabile una tale espansione della potestà punitiva.
