
Si chiamavano Graziana, Susan e Azzurra, tutte e tre detenute nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino, tutte e tre morte suicide.
Graziana aveva 52 anni e le mancava un solo mese per tornare in libertà. Ha scelto invece di impiccarsi. Susan aveva 42 e doveva scontare dieci anni. Ha smesso di mangiare ed è morta per fame. Azzurra aveva 28 anni e un passato difficile. Si è impiccata.
Tre vite perse in meno di due mesi in un solo carcere.
Si aggiungono agli altri 40 suicidi da inizio anno e alle 48 persone morte detenute per ragioni diverse dal suicidio (a questo link per chi volesse consultare le statistiche costantemente aggiornate da Ristretti.org)
Il carcere ripropone incessantemente il mito di Crono che divora i suoi figli, con l’unica differenza che i carcerati sono figliastri e non figli, non temuti ma odiati, accusati non di usurpare il potere del padre ma di disturbare quelli di fuori.
Abbiamo un ministro della Giustizia che si definisce liberal e che, subito dopo l’insediamento del Governo Meloni, dichiarava che le carceri erano la sua priorità e che la pena non doveva essere necessariamente espiata in cella (a questo link per la verifica).
Che sia davvero liberal, ormai lo dice solo lui.
Che il carcere e i carcerati siano in cima ai suoi pensieri, idem.
Ci sono occasioni in cui la responsabilità politica dovrebbe spingere chi ce l’ha a chiedere scusa e magari anche a provare vergogna.
Tre donne che si tolgono la vita nello spazio di poco più di un mese all’interno di un carcere che il segretario generale dell’OSAPP assimila ad un girone dantesco (qui il link per leggere le sue dichiarazioni) giustificherebbero quelle scuse ma temo che non arriveranno mai.
La vergogna, poi, non pare più, se mai lo è stata, una categoria politica.

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