Tragedia ferroviaria di Brandizzo: colpa o dolo eventuale? (di Vincenzo Giglio)

Le cronache di questi giorni ci hanno proposto la tragedia di Brandizzo che è costata la vita a cinque operai in conseguenza di un terribile incidente ferroviario.

La procura della Repubblica di Ivrea ha doverosamente aperto un procedimento penale per accertare fatti e responsabilità.

Le ipotesi di reato di partenza sono scontate: omicidio colposo aggravato (art. 589, comma 2, cod. pen.) e disastro ferroviario colposo (artt. 430 e 449, comma 2, cod. pen.).

Sennonché, stando alle più recenti notizie di stampa (a questo link per uno dei tanti articoli), gli inquirenti, sulla scorta della gravità delle violazioni dei protocolli di sicurezza che sarebbero emerse in esito ai primi accertamenti, starebbero prendendo in considerazione il dolo eventuale come elemento psicologico di qualificazione delle condotte in contestazione.

Se così fosse, le ipotesi di reato muterebbero: non più quelle iniziali e al loro posto omicidio (art. 575 cod. pen.) e disastro ferroviario (art. 430 cod. pen.).

Può essere utile ricordare cosa dice al riguardo la giurisprudenza e si pensa a tal fine di attingere letteralmente alla notissima sentenza n. 38343/2014 emessa dalle Sezioni unite penali nell’altrettanto noto caso ThyssenKrupp.

La si preferisce tra le tante per la straordinaria sistematicità e per l’acutezza di visione che le sono proprie oltre che per la convincente distinzione tra il dolo eventuale e l’elemento psicologico che gli è più prossimo, cioè la colpa cosciente (o con previsione dell’evento).

Si precisa che, data la corposità della decisione, si è operata una selezione degli argomenti, scegliendo quelli più utili per la comprensione della questione.

Il dolo eventuale

Il dolo eventuale designa l’area dell’imputazione soggettiva dagli incerti confini in cui l’evento non costituisce l’esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile: l’agente si rappresenta un possibile risultato della sua condotta e ciononostante s’induce ad agire accettando la prospettiva che l’accadimento abbia luogo. L’istituto presenta nell’elaborazione teorica e nella prassi una grandissima varietà di posizioni: è il luogo problematico nel quale maggiormente si mostrano, prendono corpo concreto, confrontandosi con le esigenze applicative, le dispute teoriche tra rappresentazione e volontà nel dolo.

Esso racchiude nella sua struttura definitoria il confine tra dolo e colpa e, ancor più, segna in molti casi il limite soggettivo dell’illecito penale. Per completezza va chiarito che il dolo eventuale è compatibile con due figure in relazione alle quali si verifica talvolta qualche confusione: il dolo indeterminato ed il dolo alternativo.

La prima fattispecie si configura quando il soggetto agisce volendo alternativamente o cumulativamente due o più risultati che non sono tra loro incompatibili, come quando si spara contro un gruppo di persone volendo cagionare indifferentemente la morte di una o più persone. Il dolo alternativo si caratterizza invece per il fatto che i diversi fatti previsti sono incompatibili fra loro, nel senso che la realizzazione dell’uno esclude la realizzazione dell’altro: si spara per ferire od uccidere indifferentemente. In ambedue le figure in questione il dolo potrà configurarsi come intenzionale, diretto o eventuale.

Le diverse prospettazioni elaborate per caratterizzare il dolo eventuale possono essere distinte essenzialmente per il maggiore o minore rilievo attribuito al momento della rappresentazione e per lo spazio lasciato alla concreta indagine sull’atteggiamento psichico dell’agente, sulla componente volitiva. Si tratta di sfumature interne al senso dei discorsi, che sovente vanno oltre le enunciazioni formali sull’adesione all’una od all’altra delle teorie.

Gli indizi o indicatori del dolo eventuale

Dovendosi indagare la sfera interiore, l’indagine sul dolo eventuale si colloca sul piano indiziario.

Va subito aggiunto, però, che tali indizi o indicatori non incarnano la colpevolezza, ma servono a ricostruire il processo decisionale ed i suoi motivi e particolarmente il suo culmine che, come si è visto, si realizza con l’adozione di una condotta che si basa sulla nitida, ponderata consapevolezza della concreta prospettiva dell’evento collaterale; e si traduce in adesione a tale eventualità, quale prezzo o contropartita accettabile in relazione alle finalità primarie. Gli indizi, insomma, sono al servizio del giudizio che si risolve nel peculiare rimprovero doloso di cui ci si occupa. Per sottrarre l’argomentazione al rischio dell’astrattezza conviene analizzare alcuni indicatori, anche in rapporto alla loro utilizzazione in ambito giurisprudenziale.

La condotta che caratterizza l’illecito ha un determinante rilievo negli illeciti di sangue, che costituiscono il classico paradigma della fattispecie. Se ne è vista una rassegna giurisprudenziale: le caratteristiche dell’arma, la ripetizione dei colpi, le parti prese di mira e quelle colpite, sono importanti, nella prospettiva del dolo eventuale, quando non si è in presenza della elevata probabilità di verificazione dell’evento che contrassegna il dolo diretto. Ma si tratta della parte più nota e meno interessante del nostro tema. Rileva pure, negli ambiti governati da discipline cautelari, la lontananza della condotta standard. Quanto più grave ed estrema è la colpa tanto più si apre la strada ad una cauta considerazione della prospettiva dolosa. Si tratta della situazione che caratterizza la più recente esperienza giuridica di cui si è dato sopra conto. Emblematico il contesto della circolazione stradale.

Qui è naturale pensare allo schema normativo della colpa cosciente; e questa è stata infine la soluzione accreditata dalla giurisprudenza della Suprema Corte. L’opposta soluzione nel senso del dolo eventuale ha preso corpo in alcuni casi davvero peculiari nei quali l’agente ha mostrato una determinazione estrema, la volontà di correre, per diverse ragioni, rischi altissimi senza porre in essere alcuna misura per tentare di governare tale eventualità; in breve ha realmente, tangibilmente accettato l’eventualità della verificazione dell’evento illecito.

La personalità, la storia e le precedenti esperienze talvolta indiziano la piena, vissuta consapevolezza delle conseguenze lesive che possono derivare dalla condotta; e la conseguente accettazione dell’evento. Nel caso della donna che aveva trasmesso il virus HIV al partner, vi era l’esperienza di un evento analogo che aveva colpito il precedente compagno, conducendolo alla morte. Il peso di una così drammatica circostanza è con tutta evidenza capace di orientare la lettura in chiave dolosa dei ripetuti, successivi contatti sessuali. Ma l’esperienza può assumere significato in senso contrario.

Il lanciatore di coltelli, forte della consumata abilità comprovata da mille prove, non mette in conto di colpire il bersaglio umano. Parimenti il pilota d’auto temprato da molte gare affronta fiducioso rischi maggiori di un conducente ordinario: confida che l’abilità acquisita lo aiuterà in eventuali contingenze critiche.

La personalità, esaminata in concreto e senza categorizzazioni moralistiche, può mostrare le caratteristiche dell’agente, la sua cultura, l’intelligenza, la conoscenza del contesto nel quale sono maturati i fatti; e quindi l’acquisita consapevolezza degli esiti collaterali possibili. Insomma, essa ha un peso indiscutibile, soprattutto nell’ambito del profilo conoscitivo del dolo. Nel caso, cui si è già fatto cenno, dell’uomo che trasmette alla moglie il virus HIV, il dolo è stato infine escluso facendo leva sul basso livello culturale e sull’incompleta comprensione delle drammatiche conseguenze delle sue azioni. Parimenti la personalità immatura del giovane che furoreggia in moto è più verosimilmente compatibile con la colpa che col dolo eventuale.

…La durata e la ripetizione della condotta

Un comportamento repentino, impulsivo, accredita l’ipotesi di un’insufficiente ponderazione di certe conseguenze illecite. In generale la bravata e l’atto compiuto d’impulso in uno stato emotivo alterato indiziano un atteggiamento di grave imprudenza piuttosto che la volontaria accettazione della possibilità che si verifichino eventi sinistri. Per contro, una condotta lungamente protratta, studiata, ponderata, basata su una completa ed esatta conoscenza e comprensione dei fatti, apre realisticamente alla concreta ipotesi che vi sia stata previsione ed accettazione delle conseguenze lesive.

Sempre a proposito del contagio del virus HIV, la frequenza dei rapporti sessuali non solo incrementa le probabilità, ma mostra solitamente un atteggiamento risoluto, determinato. Lo si è visto nella giurisprudenza esaminata: nel caso di rapporti lungamente protratti con la partner tale significativo dato indiziario aveva inizialmente condotto all’affermazione di responsabilità per dolo eventuale. Tale dato, lungi dall’essere svalutato nel prosieguo del giudizio, è stato ritenuto sopravanzato da carenze culturali e da altre discusse contingenze cui si è qui sopra fatto cenno. Si tratta di uno dei casi più controversi dell’esperienza giuridica in materia.

…La condotta successiva al fatto

La fattiva e spontanea opera soccorritrice può aver peso nell’accreditare un atteggiamento riconducibile alla colpa e non al dolo eventuale. Per contro, l’estremo tentativo di fuga del ladro, pur dopo il disastroso urto mortale, mostra appieno la estrema determinazione del tentativo di sottrarsi a qualunque costo all’intervento di polizia; e dunque l’adesione alla drammatica prospettiva poi realizzatasi. All’opposto, lo stupore del giovane che si avvede di aver investito i ciclomotoristi mostra in modo alquanto pregnante l’assenza di previsione ed accettazione di quell’esito estremo. Il fine della condotta, la sua motivazione di fondo; e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali, cioè la congruenza del “prezzo” connesso all’evento non direttamente voluto rispetto al progetto d’azione.

…La probabilità di verificazione dell’evento

Si è visto che la certezza o l’elevata probabilità dell’esito antigiuridico accreditano il dolo diretto. Ma, come si è già esposto, nei contesti della giurisprudenza il coefficiente probabilistico non è quasi mai misurabile. Si compiono valutazioni di massima. Allora, se è lecito riferirsi alla probabilità dell’evento come ad un indicatore significativo, un approccio sensato al problema induce senz’altro ad affermare che, quanto più ci si allontana dall’umana certezza sui sentieri incerti della probabilità, tanto più il giudice attento a cogliere le movenze dell’animo umano deve investigare profondamente lo scenario complessivo per scorgervi i segni di un atteggiamento riconducibile alla sfera del volere. Mai dimenticando che la probabilità non va considerata in astratto, ma sogguardata dal punto di vista dell’agente, della percezione che questi ne ha avuta.

…Le conseguenze negative o lesive anche per l’agente in caso di verificazione dell’evento

Si tratta di un tema ricorrente nell’infortunistica stradale, che accredita fortemente l’ipotesi colposa. Tale indirizzo è stato ribaltato, come si è visto solo in situazioni estreme, in presenza di concrete emergenze che conducevano a ritenere che le motivazioni dell’elevata velocità e le peculiarità della condotta di guida implicavano l’accettazione dell’eventualità di subire conseguenze personali negative, dando così consistenza dolosa all’azione.

…Il contesto lecito o illecito

Una situazione illecita di base indizia più gravemente il dolo, mentre un contesto lecito solitamente mostra un insieme di regole cautelari ed apre la plausibile prospettiva dell’errore commesso da un agente non disposto ad accettare fino in fondo conseguenze che lo collocano in uno stato di radicale antagonismo rispetto all’imperativo della legge, tipico del dolo. Naturalmente tale criterio, al pari del resto di tutti gli altri cui si è fatto riferimento, va utilizzato con cautela, ed in accordo con le altre emergenze del caso concreto. Qui si tratta, in particolare, di evitare che il giudizio sulla colpevolezza per il fatto concreto possa nascondere un giudizio sul tipo d’autore.

…Il controfattuale

Resta da dire del più importante e discusso indicatore del dolo eventuale che si configura quando, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, è possibile ritenere che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento. Esso, come si è visto, è stato utilizzato dalle Sezioni Unite in tema di ricettazione ed è evocato in diverse pronunzie di legittimità. Si è sopra esposto che l’autorevole dottrina che maggiormente ha rimarcato la necessità di cogliere il momento volitivo pure nel dolo eventuale ha ritenuto che tale strumento sia l’unico risolutivo. L’enunciazione è per certi versi condivisibile, poiché tale giudizio controfattuale riconduce virtualmente l’atteggiamento dell’agente a quello proprio del dolo diretto e dunque riduce ma definisce nitidamente l’area occupata dalla figura soggettiva in esame. D’altra parte, alcune delle critiche mosse a tale approccio appaiono poco convincenti. In effetti si è in presenza di un giudizio ipotetico, ma ciò non è per nulla estraneo allo strumentario della scienza penalistica che, appunto, da valutazioni congetturali è pervasa.

L’importante è che si sia in possesso di informazioni altamente affidabili che consentano di esperire il controfattuale e di rispondere con sicurezza alla domanda su ciò che l’agente avrebbe fatto se avesse conseguito la previsione della sicura verificazione dell’evento illecito collaterale. Occorre però realisticamente prendere atto che tale situazione non sempre si verifica. In molte situazioni il dubbio rimane irrisolto. Vi sono casi in cui neppure l’interessato saprebbe rispondere ad una domanda del genere. Allora, guardando le cose con il consueto, sensato realismo della giurisprudenza, occorre ritenere che la formula in questione costituisca un indicatore importante ed anzi sostanzialmente risolutivo quando si abbia modo di esperire in modo affidabile e concludente il relativo controfattuale.

L’accertamento del dolo eventuale, tuttavia, non può essere affidato solo a tale strumento euristico; ma deve avvalersi di tutti i possibili, alternativi strumenti d’indagine. L’esposizione che precede indica solo alcuni degli indizi. Il catalogo è aperto e ciascuna fattispecie concreta, analizzata profondamente, può mostrare plurimi segni peculiari in grado di orientare la delicata indagine giudiziaria sul dolo eventuale. Va aggiunto che, come per tutte le valutazioni indiziarie, quanto più alta è la affidabilità, la coerenza e la consonanza dei segni tanto maggiore risulta la forza del finale giudizio.

Anche qui l’indagine demandata al giudice richiede uno estremo, disinteressato sforzo di analisi e comprensione dei dettagli; un atteggiamento, cioè, immune dalla tentazione di farsi protagonista di scelte politico-criminali che non gli competono ed al contempo attivamente interessato alla comprensione dei fatti, anche quelli psichici, alieno dall’applicazione pigra di meccanismi presuntivi.

Non può certo nascondersi che un tale itinerario non è per nulla facile, non solo e non tanto per l’affinato talento critico che richiede, ma anche perché spesso il materiale probatorio è povero, non consente quella completa lettura di scenario dalla quale soltanto può scaturire un persuasivo giudizio di colpevolezza per dolo eventuale. Tutto ciò deve indurre a speciale cautela. La figura di cui ci si occupa è peculiare, marginale, di difficile accertamento. In conseguenza, in tutte le situazioni probatorie irrisolte alla stregua della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, occorre attenersi al principio di favore per l’imputato e rinunziare all’imputazione soggettiva più grave a favore di quella colposa, se prevista dalla legge. Di certo, infine, il tema dell’accertamento del dolo eventuale mette in campo la figura del giudice.

Questi potrà affrontare un’indagine tanto delicata e difficile come quella cui si è sin qui fatto cenno solo se abbia matura consapevolezza del proprio ruolo di professionista della decisione; e sia determinato a coltivare ed esercitare i talenti che tale ruolo richiedono: assiduo impegno a ricercare, con le parti, i fatti fin nei più minuti dettagli; e ad analizzarli, soprattutto, con un atteggiamento di disinteresse, cioè di purezza intellettuale che consenta di accogliere, accettare senza pregiudizi il senso delle cose; di rifuggire da interpretazioni precostituite, di maniera; di vagliare e ponderare tutte le acquisizioni con equanimità.

Uno sguardo alla giurisprudenza più recente, come si è accennato, consente di affermare che l’inflessione volontaristica del dolo eventuale è dominante nei casi più delicati; e che non manca, solitamente, una acuta attenzione a sceverare per quanto possibile gli atteggiamenti interni. Tale indirizzo deve essere valorizzato ed irrobustito; anche per contrastare ricorrenti tensioni verso forzature della realtà e del senso delle cose, per rendersi protagonisti di scelte criminologiche che trascendono la sfera giudiziaria. In ogni caso va ribadito, quale estrema garanzia del giudizio, che nei casi incerti il principio del favor rei dovrebbe sempre orientare a configurare la colpa cosciente, affinché non si disperda il tratto fondante del dolo, costituito dalla connessione tra l’atteggiamento interiore e l’evento.

Per finire

I lettori hanno adesso una traccia consistente degli elementi da tenere in considerazione allorché si controverta di dolo eventuale.

Per parte nostra ci si limita a dire che la strada che sembrerebbe voler intraprendere la procura di Ivrea è piuttosto impervia.