La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 33584/2023 ha ricordato che nel delitto di rapina l’ingiusto profitto non deve necessariamente concretizzarsi in un’utilità materiale, potendo consistere anche in un vantaggio di natura morale, che l’agente si propone di conseguire dalla condotta di sottrazione.
Principio confermato recentemente da cassazione sezione 2 con la sentenza numero 6396 depositata il 15 febbraio 2023.
Nel caso esaminato la Suprema Corte ha ritenuto ricorrere proprio una tale situazione, perché l’ingiusto profitto nei reati contro il patrimonio non necessariamente deve essere diretto a conseguire un’utilità materiale, ma può mirare anche soltanto ad un vantaggio morale o sentimentale, e nel caso in esame appropriarsi di un bene della persona offesa, al fine di indurla a riavviare la convivenza more uxorio interrotta integra un’utilità morale qualificabile come ingiusto profitto, poiché nessuna norma riconosce il diritto a proseguire una convivenza di fatto, senza il libero consenso dell’altra persona
La cassazione ha concluso ricordando la consolidata esegesi in tema di ingiusto profitto nel delitto di rapina, che può consistere in qualsiasi soddisfazione o godimento che abbia di mira l’agente attraverso la propria condotta interamente riconducibile al fatto tipico (Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019, Rv. 276104; Sez. 2, n. 12800 del 06/03/2009, Rv. 243953).
Questa opzione esegetica ha ricevuto anche – indirettamente, avuto riguardo alla analoga costruzione delle due fattispecie incriminatrici in punto di elemento soggettivo – l’autorevole avallo del massimo consesso di legittimità, che, all’esito dell’udienza pubblica del 25 maggio 2023, secondo quanto si apprende dall’informazione provvisoria, ha statuito che «il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale».
