Determinazione della durata delle pene accessorie nel caso di concorso di reati (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 3^, sentenza n. 33967/2023, udienza del 12 maggio 2023, chiarisce i criteri di determinazione della durata delle pene accessorie ove ricorra un’ipotesi di concorso di reati.

Regole generali per la determinazione delle pene accessorie nel caso di concorso di reati

In linea generale, l’art. 77 cod. pen. prevede che per determinare le pene accessorie, nel caso di concorso di reati, si ha riguardo ai singoli reati per i quali è pronunciata la condanna ed alla pena principale che, se non vi fosse concorso di reati, si dovrebbe infliggere per ciascuno di essi. Al comma 2, prevede che «Se concorrono pene accessorie della stessa specie, queste si applicano per intero».

L’art. 79 cod. pen. prevede i limiti degli aumenti delle pene accessorie.

Nel caso di reati uniti fra loro dal vincolo della continuazione, che comportino, ciascuno di essi, l’applicazione di pene accessorie eterogenee, si è affermato che, per determinare quelle da applicare, ai sensi dell’art. 77 cod. pen., è necessario fare riferimento ai singoli reati per i quali è stata pronunciata la condanna, scindendo, pertanto, detto reato nelle singole violazioni che lo compongono ed applicando le pene accessorie previste per ciascun illecito «satellite» (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di appello che aveva confermato l’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000 per il reato di cui all’art. 11 del medesimo d.lgs., riunito in continuazione con il più grave reato di usura; così Sez. 3, n. 36308 del 21/05/2019, Rv. 277502 – 01).

Sezioni unite Basile

Nel caso di pluralità di reati, unificati dal vincolo della continuazione, la durata della pena accessoria secondo il criterio fissato dall’art. 37 cod. pen. va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione più grave, con l’eccezione dell’ipotesi di continuazione fra reati omogenei, nella quale l’identità dei reati unificati comporta necessariamente l’applicazione di una pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la durata complessiva va commisurata all’intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione, ferma restando in ogni caso la necessità di rispettare il limite edittale massimo previsto per la specifica sanzione accessoria da applicare (Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Carrara, Rv. 263045 – 01; fattispecie in tema di pena accessoria del ritiro della patente di guida prevista dall’art. 85 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).

Tale principio fu però affermato, come risulta dalla motivazione, in applicazione dei principi di Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 12/02/2015, Basile, Rv. 262328.

La sentenza Carrara afferma, infatti, che: «Neppure può ritenersi errata la determinazione della pena accessoria comminata nel massimo di tre anni secondo la previsione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 85, perché la durata delle pene accessorie temporanee, come nella specie, fissata dalla legge solo nel massimo, per il principio dell’uniformità temporale tra pena accessoria e pena principale previsto dall’art. 37 cod. pen., è eguale a quella della pena principale inflitta nel senso che va ragguagliata al periodo di durata della pena principale, purché non oltre i limiti del massimo edittale previsto per le sanzioni accessorie, approdo ermeneutico recentemente convalidato dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale sono riconducibili al novero delle pene accessorie non espressamente determinate dalla legge quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, ragione per la quale la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta (Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 12/02/2015, B., Rv. 262328).

Nel caso, come nella specie, di pluralità di reati – unificati dal vincolo della continuazione – va riaffermato il principio di diritto secondo il quale la durata della pena accessoria secondo il criterio fissato dall’art. 37 cod. pen. va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione più grave, con l’eccezione dell’ipotesi, nella specie sussistente, di continuazione fra reati omogenei, nella quale l’identità dei reati unificati comporta necessariamente la applicazione di una pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la durata complessiva va commisurata all’intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione (Sez. 3, n. 29746 del 05/06/2014, B., Rv. 261512), fermo restando il rispetto del limite edittale massimo previsto per la specifica sanzione accessoria da applicare».

Sezioni unite Suraci

I principi della sentenza B. sono, però, stati superati dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286 – 01, in motivazione.

Le Sezioni unite hanno affermato il principio, applicabile anche nel caso dell’art. 12 d.lgs. n.74 del 2000, per cui «La durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen.».

Il mutamento della giurisprudenza delle Sezioni unite trova il suo fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, della legge fallimentare nella parte in cui prescrive che «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni».

Secondo la Corte costituzionale, osserva la sentenza Suraci, le pene di entità quantitativa fissa, stabilita per legge, possono essere coerenti col sistema costituzionale a condizione che l’analisi strutturale della fattispecie dimostri la loro proporzione rispetto ai comportamenti tipizzati, riconducibili alla fattispecie di reato. La durata unica e fissa delle pene accessorie, previste dall’art. 216, ultimo comma, I. fall., non è compatibile con i principi costituzionali di proporzionalità e di necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio in quanto nella conformazione strutturale della norma incriminatrice dell’art. 216 vi è l’inclusione di una serie di fattispecie tipiche di diverso disvalore sul piano astratto, che si riflette nelle differenziate previsioni delle relative pene principali, nonché una pluralità di comportamenti illeciti compresi nell’ambito delle singole ipotesi di reato, contraddistinti da diversificata gravità in dipendenza delle modalità di aggressione del bene giuridico tutelato. Invece., il trattamento sanzionatorio della pena accessoria è unico.

Ha osservato la sentenza Suraci anche che «La Corte costituzionale ha quindi respinto la diversa opzione, suggerita nell’ordinanza di rimessione, del ricorso al criterio residuale, già esistente nel sistema e dettato dall’art. 37 cod. pen., di ancorare la durata delle sanzioni accessorie fallimentari all’entità della pena principale della reclusione: questa soluzione finirebbe per sostituire un diverso automatismo a quello legale, reputato incostituzionale, con effetti distonici rispetto all’intento del legislatore storico di punire severamente gli autori di delitti di bancarotta che sono considerati gravemente lesivi degli interessi individuali e collettivi al buon funzionamento del sistema economico».

In motivazione, le Sezioni unite hanno affermato che la regola della equiparazione meccanica della durata della pena accessoria a quella della pena principale in concreto inflitta assume una funzione residuale, cui fare ricorso nei casi in cui a legge in astratto sia priva di qualsiasi indicazione sul profilo temporale che circoscriva e guidi l’esercizio del potere dosimetrico del giudice.

Superati i principi della sentenza B., tenuto conto della motivazione della sentenza della Corte costituzionale, deve ritenersi che l’art. 77, commi 1 e 2, cod. pen. si applichi nel caso del cumulo materiale di reati, tenuto conto che tale norma è inserita nella parte del capo III che disciplina le norme sulle pene nel caso di concorso materiale di reati; invece, l’art. 81 cod. pen. disciplina le diverse figure del concorso formale e del reato continuato.

Gli articoli 72 e ss. cod. pen. disciplinano specifiche ipotesi collegate alle pene; l’art. 72 cod. pen. riguarda il «Concorso di reati che importano l’ergastolo e di reati che importano pene detentive temporanee»; l’art. 73 cod. pen. il «Concorso di reati che importano pene detentive temporanee o pene pecuniarie della stessa specie»; l’art. 74 cod. pen. il «Concorso di reati che importane pene detentive di specie diversa»; l’art. 75 cod. pen. il «Concorso di reati che importano pene pecuniarie di specie diversa»; l’art. 78 cod. pen. i «Limiti degli aumenti delle pene principali»; l’art. 79 cod. pen. i «Limiti degli aumenti delle pene accessorie».

L’art. 81 cod. pen. fa invece riferimento solo alla «pena» che dovrebbe infliggersi, senza distinguere il tipo o la natura né se si tratti di pena principale o accessoria. Nel caso di concorso formale o di più reati uniti dal vincolo della continuazione – che comportino ciascuno di essi l’applicazione delle stesse pene accessorie la cui durata per il reato più grave debba essere determinata ex art. 133 cod. pen., seconde i principi della sentenza Suraci – trova allora applicazione il criterio mitigatore dell’art. 81. cod. pen. anche nella determinazione delle pene accessorie per i reati satelliti e non più l’applicazione «automatica» della stessa pena complessiva inflitta o l’applicazione per intero della pena accessoria. La durata delle pene accessorie omogenee deve, cioè, tener conto dei principi costituzionali di proporzionalità e di necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in relazione agli elementi ex art. 133 cod. pen.

Dunque, posto che il Tribunale, per quanto immotivatamente, ha determinato la durata complessiva delle pene accessorie omogenee per ciascuno dei reati per i quali è intervenuta la condanna, mentre avrebbe dovuto specificare la durata per ciascun reato, l’assoluzione per il reato ex art. 5 d.lgs. n.74 del 2000 pronunciata dalla Corte territoriale, per altro in relazione al reato più grave, avrebbe imposto di rivalutare la durata delle pene accessorie in base ai criteri ex art. 133 cod. pen. e di ridurla, per effetto dell’assoluzione.

La giurisprudenza – Sez. 3, n. 46143 del 09/02/2016, Rv. 268056-01 – ha affermato, pur se nella diversa materia delle sanzioni amministrative accessorie, che qualora la misura della sanzione amministrativa accesso sia disposta con la sentenza di condanna di primo grado sia riferibile ad una pluralità di reati, l’assoluzione in appello relativamente a taluno di essi obbliga il giudice dell’impugnazione, oltre che a ridurre la pena principale, anche ad eliminare dal cumulo delle sanzioni accessorie la parte ad esso relativa. Tale principio è stato affermato in tema di sospensione della patente di guida: la Corte di cassazione ha precisate che il giudice di secondo grado, mentre può autonomamente applicare la sanzione accessoria ove non disposta in primo grado, in quanto conseguente di diritto alla condanna come effetto penale della stessa, non può invece, in assenza di impugnazione sul punto del Pubblico Ministero, mantenerne invariata la durata complessiva quale determinata dal primo giudice, apportando un aumento a quella conseguente al reato superstite.

Analogo principio deve essere espresso nel caso in esame, in cui la durata della pena accessoria è stata determinata, necessariamente, in relazione ai due reati per i quali era intervenuta la condanna in primo grado.

Nel concetto di pena complessiva di cui all’art. 597, comma 4, cod. proc. pen. rientrano anche le pene accessorie, se l’accoglimento dell’appello dell’imputato implica l’assoluzione dal reato già ritenuto unito dal vincolo della continuazione e se la sussistenza di tale reato abbia inciso sulla determinazione della pena accessoria.