Confisca estesa: applicabile anche se il condannato è stato riabilitato (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 8783/2923, udienza dell’8 novembre 2023, ha ad oggetto l’istituto della cosiddetta confisca estesa o allargata.

Natura giuridica

La confisca cd. estesa ha – per condivise affermazioni interpretative della giurisprudenza di legittimità – natura giuridica di misura di sicurezza atipica (tra le molte v. Sez. 2^, n. 5734 del 12.10.2018, rv. 276299, secondo cui l’ipotesi di confisca prevista dall’art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, può essere disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni che l’hanno istituita, in quanto il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria e non anche in relazione alla confisca in questione, da ricomprendere tra le misure di sicurezza) e non può, pertanto, essere considerata né una sanzione atipica, né una pena accessoria, né un “effetto penale della condanna”.

Le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza 20.4.94, P.M. in proc. Volpe, rv. 197537, hanno infatti affermato che: “gli effetti penali della condanna, dei quali il codice penale non fornisce la nozione ne’ indica il criterio generale che valga a distinguerli dai diversi effetti di natura non penale che pure sono in rapporto di effetto a causa con la pronuncia di condanna, si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna e non pure di altri provvedimenti che possono determinare quell’effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, ope legis, dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, ancorché aventi la condanna come necessario presupposto; per la natura sanzionatoria dell’effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale“.

La riabilitazione non ne impedisce l’applicazione perché la confisca estesa non è un effetto penale della condanna.

La condanna per uno dei cd. reati spia è – dunque – uno dei presupposti di applicabilità della confisca estesa di cui all’art. 240-bis cod. pen. e la riabilitazione è un istituto che si fonda da un lato sulla avvenuta espiazione (o dalla estinzione) della pena principale e dall’altro sul buon comportamento del soggetto, aspetti che consentono di escludere l’aggravio afflittivo esclusivamente imputabile a pene accessorie o altri effetti penali della condanna.

È esatto, peraltro, sostenere che il soggetto destinatario del provvedimento di riabilitazione non può dirsi portatore di una “attuale pericolosità”, ma ciò – a ben vedere – non ha alcun riflesso sulla applicabilità della confisca estesa, proprio in ragione della natura giuridica non sanzionatoria di tale forma di ablazione, che si caratterizza – come la confisca di prevenzione – per una vocazione essenzialmente restitutoria e recuperatoria di accumulazioni illecite (v. sent. n.24 del 2619, Corte cost., intervenuta in rapporto alla confisca di prevenzione) maturate in correlazione o ragionevolezza temporale con la commissione dei reati-presupposto.

Il fatto che la pericolosità sia – in ipotesi – cessata, non esclude la confiscabilità dei beni la cui acquisizione sia avvenuta in prossimità temporale con la condizione di pericolosità ‘storica’ e ciò avviene sia in tema di confisca di prevenzione (la cd. confisca disgiunta di cui all’art. 18 comma 1 d.lgs. n.159 del 2011) che in tema di confisca estesa penale ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., strumento giuridico del tutto analogo alla misura di prevenzione patrimoniale, fermo restando che la condizione soggettiva è – nel caso della confisca estesa penale – ancorata alla commissione di uno dei reati-spia indicati dal legislatore e l’intervento ablativo va temporalmente circoscritto ad accumulazioni patrimoniali avvenute in un arco temporale relativamente prossimo alla consumazione dei reati in questione. In tal senso, la stessa decisione n. 33 del 2018 Corte Cost., valorizza le affinità esistenti – anche in riferimento al criterio della ragionevolezza temporale – tra la confisca estesa penale e la confisca di prevenzione : [..] secondo un indirizzo della giurisprudenza di legittimità, emerso già prima dell’intervento delle sezioni unite (Corte di cassazione, sezione prima penale, 5 febbraio-21 marzo 2001, n. 11049; sezione quinta penale, 23 aprile-30 luglio 1998, n. 2469) e ribadito anche in recenti pronunce (Corte di cassazione, sezione prima penale, 16 aprile-3 ottobre 2014, n. 41100; sezione quarta penale, 7 maggio-28 agosto 2013, n. 35707; sezione prima penale, 11 dicembre 2012-17 gennaio 2013, n. 2634) – indirizzo che il giudice a quo non ha preso in considerazione, anche solo per contestarne la validità – la presunzione di illegittima acquisizione dei beni oggetto della misura resta circoscritta, comunque sia, in un ambito di cosiddetta «ragionevolezza temporale». Il momento di acquisizione del bene non dovrebbe risultare, cioè, talmente lontano dall’epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna. Si tratta di una delimitazione temporale corrispondente, mutatis mutandis, a quella che le stesse sezioni unite hanno ritenuto operante con riferimento alla misura affine della confisca di prevenzione antimafia, già prevista dall’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) e attualmente disciplinata dall’art. 24 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), anch’essa imperniata sull’elemento della sproporzione tra redditi e disponibilità del soggetto: misura che si è ritenuta trovare un limite temporale nella stessa pericolosità sociale del soggetto, presupposto indefettibile per la sua applicazione (Corte di cassazione, sezioni unite, 26 giugno 2014-2 febbraio 2015, n. 4880). [..].

Va pertanto ritenuto che, fermo restando il rispetto del criterio della ragionevolezza temporale tra periodo di consumazione del reato-spia e momento di formazione della accumulazione patrimoniale sproporzionata (aspetto di recente ribadito da Sez. U n. 27421 del 25.2.2021, rv. 281561) nessun rilevo ostativo all’applicazione della confisca estesa penale può essere attribuito ad una decisione di riabilitazione ex art. 178 cod. pen. emessa nei confronti dell’autore dei reati-presupposto.

Valutazione della sproporzione tra valore dei beni del condannato e sua capacità reddituale

Con orientamento condiviso dal collegio, è stato affermato che in tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per uno dei reati di cui all’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (attualmente art. 240-bis cod. pen.), non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive (così Sez. III, n. 1555 del 2022, rv. 282407).

Al contempo, va ribadito che non possono venire in rilievo – al fine di giustificare l’acquisto – acquisizioni reddituali realizzate in epoca posteriore al medesimo, dovendosi parametrare la capacità patrimoniale in rapporto al momento del singolo investimento: al fine di disporre la confisca conseguente a condanna per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 (modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) allorché sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della “sproporzione”, i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall’altro, che la “giustificazione” credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (così Sez. U n. 920 del 2004, ric. Montella).

Qualche considerazione

La decisione commentata assume come fatto scontato che la confisca estesa sia una misura di sicurezza atipica priva di valenza sanzionatoria, in ciò confortata da un indirizzo interpretativo solido.

Questo inquadramento giustifica a sua volta l’ulteriore puntualizzazione contenuta nella motivazione che esclude l’assimilabilità dell’istituto ad un effetto penale della condanna: se questo, secondo quanto affermato dalle Sezioni unite Volpe, può manifestarsi solo in presenza di una sanzione, la confisca estesa non è un effetto penale.

Ed ancora: se non c’è sanzione, l’istituto non può essere compreso nella “materia penale” come intesa dalla giurisprudenza della Corte EDU e non gli si attagliano le garanzie che questa prevede per gli istituti che vi sono invece compresi.

Ed infine: se si parla di una misura di sicurezza, le si applica il regime tipico di tali misure, ivi compresa l’inapplicabilità della irretroattività sfavorevole.

Il punto è, tuttavia, che la costruzione della confisca estesa come misura di sicurezza è di pura marca giurisprudenziale e lo è altrettanto l’esclusione della sua valenza sanzionatoria.

Del resto, è ben difficile considerare priva di capacità afflittiva una misura che incide in modo così penetrante nella sfera patrimoniale del suo destinatario.

È chiaro allora che, se in ipotesi la giurisprudenza dei giudici europei dei diritti umani mutasse rotta  – come in effetti potrebbe succedere nella causa Cavallotti ed altri c. Italia (ne abbiamo già parlato due giorni fa, a questo link per chi volesse consultare il post) – l’impalcatura costruita attorno alla confisca estesa rischierebbe un crollo fragoroso.