Misure cautelari reali: ha interesse ad impugnarle solo chi abbia una detenzione qualificata del bene derivante da un diritto reale o obbligatorio (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 3^, sentenza n. 36021/2023, udienza camerale dell’1° giugno 2023, chiarisce nei termini di seguito esposti la nozione di interesse propedeutica alla legittimazione all’impugnazione delle misure cautelari reali.

Pur essendo la legittimazione alla proposizione del riesame reale attribuita dall’art. 322 cod. proc. pen. all’imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, occorre ciò nondimeno, secondo i criteri generali dettati dall’art. 591 cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità all’impugnazione, avervi interesse.

Misurandosi l’interesse all’impugnativa, strettamente ancorata nel sistema processual penalistico ad una prospettiva utilitaristica, sul risultato concretamente conseguibile dal soggetto che si duole di un provvedimento, deve rilevarsi come nell’ambito delle misure reali il risultato in concreto perseguibile non possa che essere quello, ove si consideri che l’effetto da esse derivato è lo spossessamento del bene attinto dalla misura, della sua restituzione.

Ove, infatti, si consideri che la condizione di ammissibilità dell’impugnazione prevista dall’art. 568, quarto comma cod. proc. pen. risiede nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e al contempo in quella, positiva, del conseguimento di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, purché logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U., Sentenza n. 6624 del 27/10/2011 – dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693), non può non tenersi conto dell’esito finale che la richiesta di riesame avverso un provvedimento di sequestro è volta a conseguire, la quale necessariamente presuppone una relazione qualificata tra l’impugnante e la res attinta dal vincolo cautelare, astrattamente idonea a consentire, una volta venuto meno il vincolo, la restituzione del bene in proprio favore.

È stato perciò ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, al di là della sua legittimazione astratta a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro, risultato che a sua volta implica una relazione con la cosa a sostegno della pretesa alla cessazione del vincolo cautelare, dovendo il gravame essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (ex plurimis Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Rv. 276545; Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, Rv. 274992; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Rv. 267672; Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, Rv. 263799).

Deve al riguardo precisarsi che la sussistenza dell’interesse ad impugnare in quanto correlata all’attualità e alla concretezza non può desumersi dalla legittimazione ad impugnare, configurante invece una categoria prevista dal legislatore in termini generali ed astratti. Essendo infatti onere di chi impugna dedurre la sussistenza dell’interesse ad impugnare, ai sensi degli artt. 568, comma 4, e 581 comma 1, lettera d), cod. proc. pen., l’impugnante deve perciò, in ragione del fatto che l’interesse tutelato dall’ordinamento, in materia di impugnazioni reali, è quello volto alla reintegrazione patrimoniale di chi abbia subito l’imposizione del vincolo, indicare, a pena di inammissibilità, oltre all’avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro.

Principio, questo, ripetutamente affermato dai più recenti approdi di legittimità che ha definitivamente superato la precedente interpretazione basata sulla lettura patrocinata dalla difesa (così da ultimo Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, Rv. 281098 che sottolinea come, essendo nei procedimenti cautelari reali la sussistenza dell’interesse strettamente collegata alla richiesta di restituzione del bene, sia onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, oltre all’avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro). Orbene, non basta il mero possesso della res, non corrispondente ad alcuna posizione giuridicamente qualificata sul piano dei diritti soggettivi, a conferire all’odierno ricorrente il diritto alla restituzione dell’area attinta dal sequestro, così come questi sostiene con il presente ricorso in cui agisce nella veste di direttore dei lavori edilizi contestati come abusivi: occorre, invece, come si desume dallo stesso art. 322 cod. proc. pen. che menziona tra i soggetti astrattamente legittimati alla richiesta di riesame la “persona che avrebbe diritto alla loro restituzione”, la titolarità in capo all’impugnante, che rivesta al contempo la posizione di indagato o di imputato, di un diritto reale o di un diritto obbligatorio derivante da un rapporto contrattuale che gli abbia conferito la detenzione qualificata del bene, anch’esso da valutarsi in concreto. a tale carenza, costituita dalla mancata dimostrazione dell’esistenza di un titolo idoneo a qualificare la detenzione dell’area sequestrata, può sopperire l’interesse dell’indagato al conseguimento di una pronuncia sull’insussistenza del “fumus commissi delicti, attesa l’autonomia del giudizio cautelare da quello di merito (Sez. 5, n. 22231 del 17/03/2017, Rv. 270132; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231). Ciò in quanto lo scopo cui tendono i procedimenti incidentali e gli incidenti cautelari in particolare è quello di assicurare una pregnante ed incisiva tutela dei diritti di libertà personale o reale attinti da un provvedimento giurisdizionale e non di porsi come incombenti diretti ad anticipare impropriamente la pronuncia di merito, tipica della fase cognitiva e perseguita, quale che sia l’esito del giudizio cautelare, esclusivamente dal procedimento principale.