L’impugnazione della Procura per “un vuoto simulacro di legalità” (di Riccardo Radi)

Quando un vuoto formalismo viene certificato dalla cassazione ci si rende conto che i problemi della giustizia sono spesso determinati da visioni e comportamenti miopi dei suoi attori.

In questo caso la cassazione sezione 3 con la sentenza numero 33679/2023 ha evitato di emettere una sentenza che sarebbe stata “un vuoto simulacro di legalità”.

Fatto

Con sentenza del 2022, la corte di appello di Bari riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Foggia, assolvendo XXX dal reato ascrittogli di cui all’articolo 2 della legge numero 638 del 1983 e successive modifiche ed integrazioni, limitatamente alle annualità relative al 2010 e al 2012 per essere il fatto non più previsto dalla legge come reato, con rideterminazione della pena finale e conferma nel resto della sentenza impugnata.

Avverso tale sentenza il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari, ha proposto ricorso, deducendo che la corte di appello avrebbe assolto l’imputato nei termini sopra illustrati nonostante la intervenuta rilevazione della inammissibilità dell’appello proposto dallo stesso per tardività del gravame.

Sebbene non si potesse rilevare, in tal caso d’ufficio, stante la tardività quale causa di inammissibilità del gravame, l’intervenuta depenalizzazione con riferimento al mancato versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali per importi non superiori ad euro 10.000,00, di cui alla previsione in tal senso riportata nell’art. 3 comma 6 del Dlgs. 8/2016.

Decisione

La Suprema premette che è incontestabile il principio, emergente anche nel caso di specie, per cui un atto di appello presentato tardivamente, come tale riconosciuto dalla Corte di appello, non consente al giudice di rilevare d’ufficio la sopravvenuta “abolitio criminis“; in quanto l’inammissibilità di una tale impugnazione, perché presentata fuori termine, fa sì che in tal caso si sia già realizzato il passaggio in giudicato della sentenza ai sensi dell’art. 648, comma 2, cod. proc. pen.

Nella specie, la Cassazione ha annullato con rinvio agli effetti civili la sentenza d’appello, che, pur in presenza di ricorso tardivo, aveva rilevato l’abrogazione del reato di ingiuria, revocando le statuizioni civili oramai passate in giudicato, Sez. 5, n. 21923 del 03/04/2018 Rv. 273191 – 01).

Tuttavia, è pur sempre necessario verificare, nel caso concreto, se il ricorrente abbia interesse a far rilevare il vizio che connoti la sentenza con cui invece si sia, d’ufficio, rilevata l’intervenuta abrogazione nonostante la tardività dell’impugnazione.

Anche in considerazione del principio per cui, in caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’esecuzione revoca il provvedimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non può incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016 Rv. 267885 – 01).

Principio che, evidentemente, delinea l’interesse, vigente nell’ordinamento giuridico, a che in ogni caso non si proceda all’applicazione e tantomeno alla esecuzione della pena in relazione a fatti oggetto di intervenuta abolitio criminis.

In tale prospettiva, deve allora innanzitutto considerarsi che attuale ricorrente risulta essere il Pubblico Ministero, per il quale, quindi, vige il principio per cui il ricorso per cassazione del P.M. diretto a ottenere l’esatta applicazione della legge processuale deve essere caratterizzato dalla concretezza e attualità dell’interesse da verificare in relazione all’idoneità dell’impugnazione a rimuovere gli effetti che si assumono pregiudizievoli (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009 Rv. 244110 – 01).

Come noto le Sezioni Unite hanno statuito, con la sopra citata sentenza , in tema di interesse del Pubblico Ministero ad impugnare, che ove la impugnazione sia stata proposta dal pubblico ministero e questo denunci, al fine di ottenere la esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi sussistente il presupposto dell’interesse, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009 in motivazione; Sez. Un., 11 maggio 1993, n. 6203, p.m. in proc. Amato; Sez. Un., 24 marzo 1995, n. 9616, p.m. in proc. Boido; Sez. Un., 13 dicembre 1995, n. 42, p.m. in proc. Timpani).

In linea con tale indirizzo la cassazione ha precisato che in tema di ricorso per cassazione, ai fini della sussistenza del necessario interesse ad impugnare, non è sufficiente la mera pretesa preordinata all’astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, essendo invece necessario che sia comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata (Sez. 3, n. 30547 del 06/03/2019 Rv. 276274 – 01).

Consegue, da quanto finora osservato, che nessun interesse reale si pone a supporto del ricorso proposto dal pubblico ministero, posto che attraverso un mero vizio formale, mira a ripristinare una situazione che appare ormai estranea all’ordinamento giuridico, in termini tanto di punibilità sul piano penale che di eseguibilità della pena, siccome, ad ogni modo, come già in precedenza evidenziato, nel caso di specie il giudice dell’esecuzione può comunque revocare il provvedimento di condanna perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016 Rv. 267885 – 01).

Per cui il ricorso per cassazione del P.M., diretto ad ottenere l’esatta applicazione della legge processuale che impedisce la rilevabilità di ufficio, in sede di impugnazione proposta tardivamente, della intervenuta depenalizzazione di fatti oggetto di condanna e nelle more della impugnazione depenalizzati, risulta privo della necessaria concretezza e attualità dell’interesse al rispetto della legge oltre che estraneo a esigenze di economicità degli strumenti processuali, atteso che il provvedimento di condanna ripristinato potrebbe ragionevolmente essere seguito dalla sua eliminazione in sede esecutiva.

Il ricorso in cassazione rischia, in tal caso, se accolto, di dar luogo ad un vuoto simulacro di legalità. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.