Corruzione o induzione indebita a dare o promettere utilità? (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con la sentenza 34095/2023 è tornata ad occuparsi del sottile distinguo tra le fattispecie previste dagli articoli 319 e 319-quater c.p.

La Suprema Corte in merito alla qualificazione giuridica del fatto, ha richiamato sinteticamente l’elaborazione giurisprudenziale formatasi in relazione all’art 319-quater cod. pen.

Fondamentali risultano le indicazioni contenute nella sentenza resa da Sez. U, n.12228 del 24/10/2013, dep.2014, Maldera, Rv 258474, secondo cui il reato di concussione e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro libero e consapevole della volontà delle parti.

Le difficoltà di differenziare le due fattispecie derivano dal fatto che la parcellizzazione delle condotte ha comportato l’introduzione del reato di induzione indebita che, pur essendo stato ritagliato con riferimento ad ipotesi in precedenza riconducibili alla concussione, è una fattispecie che orbita essenzialmente nel complesso lato sensu corruttivo, come desumibile dall’incriminazione anche del privato indotto.

Ulteriore riprova di ciò è la stessa collocazione sistematica, non a caso infatti l’induzione indebita è stata aggiunta con l’introduzione dell’art.319- quater cod. pen., subito dopo la figura “madre” della corruzione e non già quella della concussione.

Nel tentativo di dipanare i rapporti tra corruzione ed induzione indebita, le Sezioni unite hanno indicato nella connotazione del rapporto intersoggettivo tra il pubblico agente ed il privato il dato sulla base del quale operare il distinguo, nel senso che ove il privato denoti una soggezione psicologica nei confronti del primo si dovrà propendere per il reato di induzione indebita; qualora, invece, il rapporto sia di natura paritaria e difetti qualsiasi forma di abuso della qualità o dei poteri, si potrà configurare la corruzione.

Al contempo, la Cassazione ha anche chiarito che l’iniziativa del pubblico agente assurge a ruolo sintomatico del reato di induzione indebita, tuttavia, tale elemento non è di per sé determinante, potendo essere esclusivamente valorizzato sul piano probatorio ed in presenza di una condotta comunque caratterizzata dalla prevaricazione sul privato.

In tal senso si veda Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016, Rv. 268520, che osserva come nell’enunciazione del principio di diritto, le Sezioni Unite “Maldera” non richiamano il profilo dell’iniziativa, mentre sottolineano l’esigenza della prevaricazione.

Ne discende che il reato di induzione indebita si differenzia dalla fattispecie corruttiva, in quanto l’art. 319-quater cod. pen. richiede una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone un incontro assolutamente libero delle volontà delle parti.

L’elemento che meglio consente di distinguere tra le due ipotesi di reato, pertanto, è ravvisabile nel fatto che nell’induzione indebita la spinta a dare o promettere non è ravvisabile nella libera scelta del privato che persegue un proprio interesse, bensì in una indotta esigenza di conseguire un vantaggio indebito, in un contesto di preminenza del pubblico agente, tant’è che la condotta deve necessariamente essere frutto di un abuso della qualità o dei poteri di cui si prospetta l’utilizzo in danno dell’indotto.

Nella condotta corruttiva, invece, l’abuso della qualifica soggettiva si manifesta in modo diverso, in quanto l’esercizio della funzione si pone come connotazione di risultato, nel senso che costituisce il presupposto per consentire al privato di ottenere il risultato illecito voluto e non già come strumento di pressione.