Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 30254/2023, udienza del 23 maggio 2023, ha formulato importanti principi di diritto riguardo al rapporto tra imputazione del giudizio cautelare e imputazione del giudizio di merito ai fini del computo dei termini di custodia cautelare.
Si riportano qui di seguito i passaggi cruciali della motivazione.
Rapporti tra imputazione cautelare e imputazione di merito: principi di diritto
In tema di rapporti tra l’imputazione del giudizio cautelare e l’imputazione del giudizio di merito, si intende ribadire alcuni principi di diritto:
(a) Ai fini del computo dei termini di fase deve aversi riguardo al reato contestato nel provvedimento coercitivo, anche se l’azione penale sia stata successivamente esercitata per un reato diverso o aggravato da circostanze ad affetto speciale (Sez. 6, n. 9964 del 01/03/2016, Rv. 266507 – 01; Sez. 6, n. 7470 del 21/01/2009, Rv. 243037 – 01; Sez. 2, n. 35195 del 05/10/2006, Rv. 235143 – 01).
Si tratta di un principio che sviluppa l’interpretazione offerta dalle Sezioni unite secondo cui, ai fini del computo del termine massimo di custodia cautelare, nella fase del giudizio, non può tenersi conto delle nuove contestazioni effettuate nel dibattimento dal pubblico ministero, dovendosi fare riferimento esclusivamente all’imputazione dell’originario provvedimento coercitivo, a meno che non sia intervenuta un’ulteriore ordinanza cautelare comprensiva della contestazione suppletiva (Sez. U, n. 24 del 05/07/2000, Monforte, Rv. 216706 – 01).
Nel solco di tali indicazioni ermeneutiche si è affermato che «ai fini del computo del termine di fase deve aversi riguardo al reato contestato nel provvedimento restrittivo costituito dalla reciproca integrazione dell’ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari e di quella pronunciata ex articolo 309 cod. proc. pen.». Integrazione che, deve ritenersi, comprende anche la decisione della Cassazione che definisce l’incidente cautelare: ciò in quanto «il delitto per cui si procede è quello enunciato del provvedimento restrittivo anche se l’azione penale sia stata esercitata successivamente per un delitto diverso» (Sez. 6, n. 7470 del 21/01/2009, Rv. 243037 – 01).
(b) I termini di fase non solo non dipendono dalle scelte unilaterali del pubblico ministero, che modifica l’imputazione nel corso del dibattimento, ma non dipendono neanche dalla imputazione “validata” dal giudice con il decreto che dispone il giudizio, dato che tale provvedimento esprime una valutazione processuale di tipo prognostico non idonea ad influire sul titolo cautelare (diffusamente: Sez.U, n. 39915 del30/10/2002, Rv. 222602 – 01; Sez. 1, n. 24123 del 19/02/2016, Rv. 266879 – contra: Sez. 3, n. 8128 del 06/12/2002, dep.2003, Rv. 223738 – 01);
(c) Costituisce eccezione alla indipendenza dell’imputazione “cautelare” da quella “processuale” (ovvero quella che viene ritenuta nel corso del giudizio di merito) la decisione di riqualificazione della condotta effettuata con la sentenza di condanna di primo o secondo grado (§ 5 delle S.U. “Monforte”);
(d) Le modifiche della qualificazione giuridica, in ipotesi favorevoli, discendenti dalle decisioni del giudice – che definiscono il procedimento cautelare o di cognizione – non rilevano sui termini delle fasi esaurite: dunque eventuali effetti favorevoli correlati alla nuova qualificazione non possono retroagire (tra le altre Sez. 6, n. 46497 del 05/11/2019, Rv. 277410 – 01; Sez. 6, n. 35681 del 14/05/2015, Rv. 264268 – 01; Sez. 5, n. 46835 del 04/12/2007, , Rv. 238890 – 01).
Autonomia delle fasi processuali e divieto di retroazione degli effetti favorevoli di riconfigurazioni migliorative delle contestazioni
La autonomia delle fasi processuali ed il divieto di retroazione degli effetti favorevoli correlati alla riqualifica in melius delle condotte contestate ha trovato autorevole conferma nella decisione delle Sezioni unite secondo cui, ribadita l’autonomia dei termini di fase previsti dall’art. 303 cod. proc. pen., la lex mitior sopravvenuta (in quel caso derivante dalla reviviscenza del trattamento sanzionatorio più favorevole per le droghe leggere, quale effetto della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale), non produce effetti sulle fasi esaurite, ma solo su quelle in corso (Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Pinna, Rv. 260926 – 01).
La Corte di cassazione nella sua più autorevole composizione ha infatti affermato che «la ricostruzione del sistema di calcolo dei termini di fase di durata della misura cautelare evidenzia come lo stesso sia caratterizzato dall’operatività del principio della “segmentazione dei termini”, cioè della previsione di termini autonomi, che contribuiscono a determinare la durata massima della custodia cautelare. Sono state predeterminate dal legislatore delle fasce temporali intermedie che caratterizzano l’autonomia delle fasi, anche attraverso la decorrenza autonoma dei termini intermedi, che è comunque collegata al termine massimo di durata previsto per la custodia cautelare. La durata della custodia cautelare è dunque collegata alla gravità dell’ipotetico fatto e della relativa pena edittale, in forza del principio cardine del sistema delle misure cautelari, che risponde alla permanente esigenza di rendere effettivo il bilanciamento tra la misura applicata, l’entità del fatto e la sanzione, anche all’interno della stessa fase. E, conseguentemente, i quattro segmenti relativi ai termini di fase sono diversamente strutturati secondo i diversi momenti della fase investigativa, del dibattimento di primo grado, del grado d’appello e delle fasi successive» (Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Pinna, Rv. 260926 – 01, cit. § 11).
Deve pertanto ritenersi che il rapporto cautelare sia da considerare “esaurito” quando si conclude ogni singola fase, con conseguente divieto di retroattività di modifiche migliorative sia giurisprudenziali, che di fonte normativa.
Ratio dell’orientamento interpretativo vigente
La ratio che governa tale percorso giurisprudenziale deve essere rinvenuta nel principio di stretta legalità cautelare: il vincolo cautelare viene applicato sulla base della valutazione della imputazione posta alla base della richiesta e validata dal giudice della cautela.
Si tratta di una imputazione che “regge” e “giustifica” il provvedimento restrittivo per tutto il percorso processuale e che può esser “superata” solo dalle riqualificazioni effettuate con le sentenze di primo e secondo grado, che prevalgono sull’accertamento cautelare in quanto esprimono il risultato di un approfondimento processuale in contraddittorio, potenzialmente definitivo (se l’imputato non impugna), che ha una ontologica primazia sia sulle valutazioni effettuate nell’ambito dell’incidente cautelare, di regola basate su contraddittorio attenuato e cartolare, sia sulle valutazioni processuali di tipo prognostico espresse dal decreto che dispone il giudizio.
Si riafferma, cioè, che gli atti di esercizio dell’azione penale ed il decreto che dispone il giudizio, ove modifichino l’imputazione cautelare riqualificandola, non sono idonei ad incidere sulla estensione dei termini di fase del provvedimento cautelare che dipende dalla imputazione posta a fondamento del provvedimento coercitivo; tali termini possono essere modificati, per il futuro, solo dalle decisioni di riqualifica effettuate dal giudice, nel corso dell’incidente cautelare o al termine dei vari gradi di giudizio.
Incidenza dell’esclusione dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. ad opera della Cassazione nel subprocedimento cautelare ed esito del ricorso
Tracciate queste linee ermeneutiche, può essere risolta la questione oggetto del presente giudizio, ovvero l’incidenza della riqualificazione – nel caso di specie tradottasi nella esclusione dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1. cod. pen. – effettuata dalla Cassazione nell’ambito dell’incidente cautelare, nel caso in cui la decisione del giudice di legittimità, intervenga durante lo svolgimento del giudizio abbreviato, incardinato sulla base di una imputazione diversa e più grave.
Nel caso di specie la fase del giudizio (abbreviato) è stata incardinata quando era in esecuzione un provvedimento coercitivo fondate sulla imputazione di usura aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.: l’imputazione cautelare è stata tuttavia modificata con successiva sentenza della Cassazione, che, decidendo sulla legittimità della cautela, ha escluso l’aggravante: tal sentenza incidente sull’ “imputazione cautelare”, ovvero quella idonea a giustificare il provvedimento coercitivo ed a definire i termini di fase, è stata pronunciata “nel corso” del giudizio di primo grado (con sentenza del 15 luglio 2022).
Tale modifica, in ossequio alle linee ermeneutiche sopra citate, incide sui termini della fase in corso, ovvero quella del giudizio abbreviato, ma non può retroagire alla fase esaurita, ovvero quella delle indagini preliminari.
Pertanto il provvedimento impugnato è illegittimo, in quanto ha fatto retroagire gli effetti della decisione della Cassazione di esclusione dell’aggravante ad una fase, quella delle indagini preliminari, già esaurita: per tale ragione il provvedimento deve essere annullato.
L’annullamento deve essere, tuttavia disposto con rinvio in quanto, come si è sopra indicato i termini della fase del giudizio abbreviato dipendono:
(a) dalla modifica in melius del titolo cautelare ad opera di una decisione della cassazione intervenuta nel corso della fase del giudizio abbreviato;
(b) dal provvedimento di estensione dei termini emesso ai sensi dell’art. 304, comma 2 cod. proc. pen.
In sede di rinvio il tribunale per il riesame, sulla base dei principi di diritto indicati, valuterà se tenuto conto delle ragioni poste alla base del provvedimento (del 17 giugno 2022), di sospensione dei termini di fase (applicabile sia quando si procede per i reati previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen., che quando si procede per giudizi abbreviati “particolarmente complessi”) i termini della fase del giudizio abbreviato sono, o meno, scaduti.
Data la rilevanza del principio ai fini del giudizio demandato al tribunale, il collegio riafferma che la sospensione dei termini della custodia cautelare disposta, ai sensi dell’art. 304, secondo comma, cod. proc. pen., per la particolare complessità del dibattimento, non è limitata ai soli giorni in cui si tengono le udienze o si delibera la sentenza, ma si estende all’intero periodo, comprensivo quindi degli intervalli (cosiddetti “tempi morti”) tra un’udienza e l’altra. (Sez. U, n. 17 del 19/06/1996, Puglia, Rv. 205337).
Si riafferma, inoltre, anche, in relazione al secondo motivo di impugnazione, con il quale si deduce che il tema della efficacia della misura sarebbe coperto dal “giudicato cautelare” risalente alla decisione del 26 ottobre 2022, che l’inefficacia della misura della custodia in carcere per decorso dei termini di durata di fase si verifica ope legis e deve essere dichiarata ex officio, pur in assenza di richiesta della parte interessata e anche nel corso di fasi successive a quella in cui si è determinata (cd. scarcerazione “ora per allora”) (Sez. 1, n. 29066 del 12/06/2002, Rv. 222096 – 01; Sez. 5, sentenza n. 5717 del 11/12/2018, dep.2019, Rv. 275137 – 01); sicché quando è in contestazione l’errato computo dei termini di fase l’imputato conserva interesse a farne valere l’illegittimità dedotta anche quando il processo progredisca ed entri in una nuova fase (Sez. U, n. 33541 del 11/07/2001, Canavesi, Rv. 219395 – 01).
È bene chiarire che tale principio non è in contrasto con quello della irretroattività degli effetti favorevoli della riqualificazione delle imputazioni poste a fondamento del vincolo, dato che la rilevabilità ex officio dell’illegittimo computo dei termini di fase – e dunque la sua sottrazione alla catena devolutiva ed al regime delle preclusioni riconducibile al c.d. “giudicato cautelare” – si riferisce ai casi in cui il titolo alla base della custodia resti “immutato” nel corso della progressione processuale.
Diverso è il caso in cui i termini patiscano contrazioni o allungamenti in relazione alla modifica sopravvenuta della imputazione alla base del titolo cautelare: gli effetti di tali modifiche non possono avere effetto sulle fasi esaurite.
In sintesi si afferma che l’errore nel calcolo dei termini di fase della custodia cautelare, nonostante sia accertato nel corso di fasi successive a quella in cui si è verificato, deve essere rilevato, anche ex officio, e la misura deve essere dichiarata inefficace ora per allora.
Diverso è il caso – che è quello che ci riguarda – in cui l’imputazione patisca modifiche nella qualificazione rilevanti ai fini del computo dei termini di fase: le modifiche in questo caso non hanno effetto retroattivo, anche se favorevoli.
