Decreto di irreperibilità valido se le ricerche hanno tenuto conto degli elementi conosciuti e conoscibili (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 34193/2023 ha stabilito che ai fini della validità del decreto d’irreperibilità, la completezza delle ricerche va valutata con riferimento agli elementi, conosciuti o conoscibili, risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, senza che eventuali notizie successive possano avere incidenza “ex post” sulla legittimità della procedura.

Fatto

Con ordinanza emessa in data 09 marzo 2023 il Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato la nullità della notifica dell’ordine di esecuzione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano a carico di F.G., con conseguente scarcerazione dell’esecutato, per l’incompletezza delle ricerche effettuate prima della emissione del decreto di irreperibilità del soggetto, in quanto non effettuate all’indirizzo di sua residenza in Romania, conoscibile dall’Ufficio, o comunque per essere stato tale decreto emesso senza verificare l’eventuale rilascio, da parte di quel Paese, di documenti idonei a consentire l’individuazione di un suo recapito.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, articolando un unico motivo, con il quale censura la errata applicazione dell’art. 159 cod. proc. pen.

Decisione

L’ordinanza del giudice dell’esecuzione risulta applicare correttamente il consolidato principio della Suprema Corte, secondo cui «Ai fini della validità del decreto d’irreperibilità, la completezza delle ricerche va valutata con riferimento agli elementi, conosciuti o conoscibili, risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, senza che eventuali notizie successive possano avere incidenza “ex post” sulla legittimità della procedura» (Sez. 3, n. 16708 del 16/02/2018, Rv. 272634; Sez. 3, n. 12838 del 16/01/2013, Rv. 257165).

Tali pronunce, oltre a ribadire l’irrilevanza delle notizie sopravvenute al completamento delle ricerche, affermano la necessità che queste vengano effettuate utilizzando tutti gli elementi «conosciuti e conoscibili», cioè acquisendo tutte le informazioni, anche non immediatamente presenti negli atti, che possono essere reperite con una attività investigativa di limitata difficoltà.

Nel presente caso il verbale di identificazione del G., redatto il 01/09/2014, consentiva l’acquisizione di ulteriori elementi conoscitivi, in quanto, pur non riportando l’indirizzo di residenza dell’indagato in Romania, riportava per esteso gli estremi della sua Carta di Identità rumena, n. 0….. rilasciata il 4/4/2013.

La produzione, da parte del difensore del G., di copia di una Carta di Identità rilasciata dall’Autorità rumena in una data successiva, dimostra che su tale documento è riportato l’indirizzo di residenza, ed è quindi corretta l’affermazione del giudice dell’esecuzione, secondo cui tale indirizzo avrebbe dovuto o potuto essere trascritto nel verbale, ovvero la Carta di Identità avrebbe potuto essere fotocopiata ed allegata al verbale in tale forma.

È quindi logica, e coerente con quanto emerge dagli atti, l’ulteriore valutazione secondo cui la mancata conoscenza dell’indirizzo di residenza del G. in Romania non era conseguenza di una sua condotta omertosa od ostativa, ma di una incompletezza del verbale redatto dalla polizia giudiziaria.

L’ordinanza impugnata afferma, quindi, che il pubblico ministero doveva chiedere tale indirizzo all’Autorità rumena, sopperendo all’incompletezza di quel verbale.

Questa affermazione costituisce la corretta applicazione del principio sopra indicato, in quanto tale informazione era un elemento non conosciuto ma «conoscibile», perché, indicando il numero della Carta di Identità, sarebbe stato semplice chiedere all’Autorità rumena quale era l’indirizzo di residenza dell’indagato all’epoca di redazione di quel verbale, nonché la conferma dell’attualità o meno di tale recapito, e di conseguenza effettuare le ricerche anche in quel luogo.

Come sottolineato nell’ordinanza impugnata, la partecipazione della Romania all’Unione Europea, e l’esistenza di rapporti di mutua assistenza tra gli organi di polizia di quel Paese e dell’Italia, rendeva relativamente facili tali verifiche.

Il pubblico ministero ricorrente ha opposto, a tale motivazione, i principi espressi dalla cassazione secondo cui «In tema di notificazioni di atti all’imputato, l’obbligo di effettuare nuove ricerche nei luoghi indicati dall’art. 159, comma 1, cod. proc. pen., al fine di emettere il decreto di irreperibilità, è condizionato all’oggettiva praticabilità degli accertamenti, quale limite logico di ogni garanzia processuale» (Sez. 4, n. 35867 del 21/06/2021, Rv. 281977) e «Ai fini della emissione del decreto di irreperibilità, l’obbligo di disporre le ricerche all’estero, sorge soltanto se quelle svolte nel territorio dello Stato consentono di individuare la località ove l’imputato dimora o esercita abitualmente la sua attività ed in cui, quindi, può utilmente effettuarsi la ricerca per l’accertamento di un esatto indirizzo» (Sez. 6, n. 29147 del 03/06/2015, Rv. 264104).

Tali principi, devono essere coniugati con l’obbligo, sopra ricordato, di effettuare le ricerche utilizzando tutti gli elementi conosciuti o conoscibili: nel presente caso, la facile conoscibilità dell’indirizzo di residenza dell’indagato in Romania, non riportato negli atti solo per una incompletezza del verbale di identificazione, rendeva gli ulteriori accertamenti oggettivamente praticabili senza una particolare difficoltà, e non esonerava il pubblico ministero dall’attivarsi per rimediare alla deficienza del verbale stesso.

Le ricerche effettuate prima dell’emissione del decreto di irreperibilità, pertanto, non possono dirsi complete, perché il recapito del G. all’estero, ovvero il suo indirizzo di residenza, era facilmente conoscibile attraverso gli elementi già contenuti nel verbale di identificazione.