Istanza di ricusazione: per la Cassazione è lecito deciderla anche dopo la fine della fase alla quale è riferita (di Vincenzo Giglio)

Vicenda giudiziaria

Un imputato ricusa due giudici del collegio di tribunale dinanzi al quale si svolge il processo che lo riguarda.

La Corte territoriale dichiara inammissibili le dichiarazioni con ordinanza de plano.

Motivi di ricorso per cassazione

I difensori dell’imputato ricorrono per cassazione.

Con il motivo che qui interessa denunciano l’inosservanza della legge penale e la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 37 e 41 cod. proc. pen.

Affermano che il loro assistito ha proposto l’istanza di ricusazione contro i due giudici in data 24 luglio 2021, ma essa è stata sottoposta alla Corte di appello competente solo il 6 dicembre 2022, ed è stata quindi decisa il 15 dicembre 2022. La Corte ha attribuito tale ritardo ad un disservizio della cancelleria, ma l’imputato aveva sia personalmente, sia tramite il difensore, informato il collegio giudicante dell’avvenuta presentazione dell’istanza, sollecitandone la trattazione. Il processo di primo grado è invece proseguito, e l’istanza è stata decisa quando esso si era già concluso, e comunque in violazione dell’art. 41 cod. proc. pen. I giudici ricusati hanno quindi concorso a pronunciare la decisione, in violazione dell’art. 37, comma 2, cod. proc. pen. La Corte di appello non ha motivato sulla ragione per cui tali inosservanze della legge debbano rimanere prive di conseguenze giuridiche.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è stato assegnato alla prima sezione penale che lo ha definito, rigettandolo, con la sentenza n. 22556/2023, emessa in esito all’udienza del 19 aprile 2023.

Si riportano qui di seguito i passaggi essenziali della motivazione.

Il motivo è infondato in quanto l’ordinamento non prevede alcuna sanzione nel caso in cui l’istanza di ricusazione venga esaminata con ritardo, non essendo stabilito dall’art. 41 cod. proc. pen. neppure un termine entro cui la Corte di appello debba emettere la sua decisione.

Peraltro, nel presente caso, la Corte di appello ha precisato di avere ricevuto l’istanza di ricusazione solo in data 6 dicembre 2022 ed ha quindi provveduto su di essa senza ritardo; il ricorrente afferma di avere più volte sollecitato l’esame di detta istanza, ma è evidente che, fino a quando essa non è stata reperita dalla cancelleria, la mera affermazione di averla presentata non ne consentiva l’esame da parte del giudice competente.

L’art. 42 cod. proc. pen., inoltre, chiarisce che solo se la ricusazione è accolta il giudice ricusato non può compiere alcun atto del procedimento, mentre la mera presentazione dell’istanza non impedisce al giudice di compiere ulteriori attività, ed in caso di suo accoglimento sarà la Corte di appello a stabilire «se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia».

L’art. 37, secondo comma, cod. proc. pen. stabilisce che il giudice ricusato non può pronunciare sentenza «fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione», ma anche tale prescrizione non è stabilita a pena di nullità, invalidità o inefficacia della sentenza eventualmente pronunciata, come avvenuto in questo caso, e la norma non stabilisce alcuna diversa sanzione in caso di sua inosservanza.

Deve quindi essere ribadito il principio stabilito dalla Corte di cassazione, secondo cui «La decisione emessa in violazione del divieto di partecipazione al giudizio del giudice ricusato sino a che l’istanza di ricusazione non sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, è nulla solo nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia accolta, mentre conserva piena validità tutte le volte che la ricusazione sia dichiarata inammissibile o sia rigettata. Il predetto divieto integra, infatti, un temporaneo difetto di potere giurisdizionale, limitato alla possibilità di pronunciare il provvedimento conclusivo e condizionato all’accoglimento o rigetto della dichiarazione di ricusazione, con la conseguenza che la valutazione di validità o meno della decisione irritualmente adottata avviene “secundum eventum”» (Sez. 6, n. 275 del 18/01/2000, Rv. 215592).

In un caso più specifico, ma applicando il medesimo principio, la Corte di cassazione ha altresì affermato che «Non comporta nullità della sentenza di condanna emessa dal giudice ricusato la successiva decisione della Corte di cassazione che abbia annullato il provvedimento della Corte d’appello d’inammissibilità dell’istanza di ricusazione per vizi meramente procedurali e non attinenti alla erronea valutazione della concreta idoneità del giudice ricusato ad esercitare correttamente la funzione giurisdizionale nello specifico processo, poiché solo quando è accertata la mancanza della precondizione di imparzialità e terzietà è configurabile una nullità per incapacità del giudice, deducibile mediante impugnazione» (Sez. 1, n. 9435 del 19/01/2015, Rv. 262883).

Il commento

La sentenza commentata è perfettamente in linea con il vigente regime normativo e con indirizzi interpretativi consolidati nel tempo.

Eppure qualcosa suona ugualmente sbagliato.

È tale il rilevante gap temporale – quasi un anno e mezzo – tra il deposito dell’istanza e la decisione della Corte d’appello.

Lo è anche la ragione del ritardo: un’istanza perduta nei meandri della cancelleria o – sarebbe lo stesso – nell’armadio di un giudice.

Lo è la noncuranza della Corte d’appello verso le ripetute segnalazioni dell’imputato e del suo difensore.

Lo è il risultato di questi deficit organizzativi: la decisione è arrivata quando il giudizio di primo grado era già concluso.

Lo è infine il lasco regime normativo che, non prevedendo alcuna sanzione per il ritardo nell’evasione dell’istanza, lascia all’arbitrio del decidente non solo il “quando” della decisione richiesta dalla parte ma anche il “se”, essendo paradossalmente possibile, proprio a causa dell’assenza di termini perentori e di sanzioni, che il giudice della ricusazione tardi così tanto da consentire il passaggio in giudicato della sentenza in ipotesi viziata dalla presenza del giudice ricusato.

Data questa premessa e considerato che nel caso di specie il giudizio di primo grado si è concluso senza che l’imputato ricusante avesse una risposta alla questione posta attraverso la dichiarazione di ricusazione, ci si chiede come una situazione processuale del genere possa essere considerata compatibile con i precetti di rango costituzionale (art. 111 Cost.) secondo i quali il processo si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale ed entro una ragionevole durata.

La terzietà ed imparzialità di due giudici di primo grado era stata messa in discussione ma questo non gli ha impedito di concorrere alla decisione.

Così come appare evidente che, se in ipotesi la ricusazione fosse stata accolta, il giudizio avrebbe subito un rallentamento notevole generato dalla necessità di ripetere almeno in parte il giudizio di primo grado.

È questo uno dei tanti casi in cui gli automatismi normativi e giurisprudenziali si perpetuano nel tempo senza che alcuno si conceda una pausa per pensare se abbiano smarrito per strada il loro significato.