Sequestro impeditivo: non si può disporlo per progetti criminali neanche contestati (di Vincenzo Giglio)

La vicenda giudiziaria e i motivi di ricorso per cassazione

Un GIP dispone il sequestro preventivo di immobili, impresa individuale, rapporti finanziari e assicurativi nei confronti di un individuo indagato per partecipazione ad un clan di stampo camorristico, usura e detenzione illegale di armi comune da sparo.

Proposta richiesta di riesame, il tribunale, quale giudice ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione quanto ai fabbricati siti in territorio del Comune di …, annulla il sequestro con riguardo a rapporti finanziari ed assicurativi e conferma il sequestro di terreni e dell’impresa individuale dell’indagato.

Con riguardo a questi ultimi beni, il tribunale ritiene insussistente il requisito del periculum in mora necessario per giustificare il sequestro preventivo in funzione anticipatoria della confisca applicabile in caso di condanna ai sensi degli artt. 416-bis, comma 7, cod. pen. e 240-bis cod. pen. e ritiene invece sussistente la finalità impeditiva del sequestro, risultando i terreni e l’impresa individuale funzionali al perseguimento dei fini del sodalizio, sul presupposto che quest’ultimo aveva attuato la strategia di utilizzare i proventi illeciti nell’acquisto di terreni boschivi da destinare alla coltivazione di nocciole, che consente l’accesso a finanziamenti e garantisce alta redditività.

Il difensore dell’indagato presenta ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Con l’unico motivo denuncia l’assenza di motivazione del periculum in mora e in relazione a quanto dedotto con memoria difensiva.

L’ordinanza impugnata non si era infatti confrontata con i rilievi concernenti l’estraneità dell’attività di coltivazione dei fondi rispetto alla condotta associativa, invero incompatibile con il lavoro agricolo e i controlli pubblici per l’erogazione dei finanziamenti.

La decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è stato trattato dalla prima sezione penale che lo ha definito con la sentenza n. 30007/2023, emessa in esito all’udienza del 15 giugno 2023.

Il collegio di legittimità ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la pronuncia impugnata sulla base delle considerazioni che si espongono qui di seguito.

L’ordinanza impugnata ha confermato il sequestro preventivo di terreni ed impresa individuale dell’indagato unicamente sotto il profilo del “… pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati” (art. 321, comma 1, cod. proc. pen.).

Dunque, ai fini del giudizio cautelare reale non vengono in rilievo né la gravità di indizi di colpevolezza – richiesta per le misure cautelari personali – né il rapporto tra il valore dei beni in sequestro e i redditi leciti del detentore né la legittimità della provenienza dei beni – elementi che rilevano nel caso di sequestro preventivo anticipatorio della confisca così detta allargata o estesa.

L’ordinanza ha fondato il giudizio sulla funzione cautelare del sequestro sul rilievo che la coltivazione dei terreni in sequestro avrebbe consentito al sodalizio camorristico di riferimento di attuare il proprio programma, che, appunto, aveva previsto lo sviluppo, tramite il capitale proveniente dagli affari illeciti, dell’attività di coltivazione di terreni a noccioleto, attività che avrebbe consentito finanziamenti pubblici e significativi profitti.

Peraltro, la doglianza proposta con il motivo di ricorso risulta fondata laddove evidenzia il difetto di pertinenzialità tra l’attività di coltivazione svolta tramite l’impresa individuale sui beni in sequestro e la fattispecie associativa contestata al ricorrente.

Infatti, l’imputazione formulata ai fini cautelari non menzione l’attività di coltivazione di terreni come espressione della strategia operativa del sodalizio, né come ambito di esplicazione della condotta associativa del ricorrente, cui viene attribuito un ruolo operativo ” …nel procacciamento e nell’utilizzo di armi ed esplosivi, nonché nelle attività estorsive e nel prestito usuraio…“.

L’ordinanza impugnata, dunque, risulta priva di motivazione in ordine alla pertinenzialità dei beni in sequestro rispetto alla fattispecie di reato ascritta.

Va quindi pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al tribunale.

Il giudice del rinvio, senza vincoli nel merito, è tenuto a non ripetere la censurata carenza motivazionale.

Il commento

La Corte di cassazione censura correttamente l’uso disinvolto di una misura cautelare reale.

Nel caso di specie ben tre organi giudiziari (PM, GIP e tribunale del riesame) hanno concorso, ciascuno secondo la propria funzione, al sequestro di un’impresa e di terreni agricoli sul presupposto che la loro disponibilità in capo al ricorrente avrebbe agevolato l’attività dell’organismo criminale di cui costui farebbe parte.

Hanno tutti dimenticato, tuttavia, che nell’imputazione associativa non era stato fatto alcun riferimento all’attività agricola.

E dunque un PM che chiede quello che non può chiedere, un GIP che consente quello che non può consentire, un tribunale/organo di garanzia che non controlla quello che deve controllare.

Per fortuna, il collegio di legittimità ha spezzato questa sequenza di errori.