Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 32385/2023, camera di consiglio del 30 maggio 2023, chiarisce le modalità esecutive del regime degli arresti domiciliari.
A mente dell’art. 284 cod. proc. pen., rubricato «arresti domiciliari», colui che viene sottoposto a tale misura cautelare è tenuto a non allontanarsi dal luogo stabilito per la sua esecuzione, il quale può di volta in volta essere individuato nella abitazione su cui l’indagato può vantare una facoltà dominicale o comunque qualificata (tale dovendo ritenersi il riferimento all’abitazione «propria») o da altra dimora appartenente a un soggetto privato diverso dal sottoposto; o ancora in un luogo pubblico, destinato alla cura o all’assistenza della persona, o, infine, in una casa famiglia protetta (concetto che, in realtà, potrebbe anche rinviare alla categoria precedente).
Ne consegue che, da un punto di vista testuale, nessun concreto elemento consente di ritenere che la misura possa essere concessa soltanto ove presso il luogo stabilito soggiornino, insieme al sottoposto agli arresti, altre persone.
Una conclusione cui conduce anche l’ampia portata della previsione del comma 3 dell’art. 284, concernente la possibilità, per il giudice, di autorizzare l’imputato ad assentarsi, nel corso della giornata, dal luogo di arresto quando questi non possa «altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita» o comunque versi «in situazione di assoluta indigenza».
Una previsione che appare pienamente compatibile con la possibilità che il soggetto non sia assistito da alcuno nel luogo di dimora in cui si trovi, tanto da avere la necessità, non altrimenti soddisfabile, di allontanarsene. E, a fortiori, deve ritenersi ancor meno necessario che il sottoposto debba coabitare con soggetti della sua cerchia parentale, ai quali debba essere conferita una funzione di non meglio definito «controllo» sul soggetto agli arresti, secondo quanto argomentato nel provvedimento impugnato.
In ultimo, non può nemmeno condividersi l’assunto sviluppato dal tribunale secondo cui la possibilità di fruire degli arresti domiciliari presso la dimora di un soggetto che non appartenga alla cerchia familiare dell’imputato equivalga a una sorta di «lasciapassare» per uscire dal carcere. È appena il caso di osservare, infatti, che nell’attuale regime processuale delle misure cautelari la custodia in carcere è chiaramente configurata come extrema ratio, alla quale deve ricorrersi, secondo quanto stabilito dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., quando ogni altra opzione risulti inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto.
Ne consegue, dunque, che le misure diverse dalla custodia carceraria non possono essere considerate come uno strumento per sottrarsi alla misura massima, quanto, all’opposto, come la soluzione alla quale ordinariamente ricorrere salvo che non vi siano alternative alla restrizione carceraria (Sez.1, n.31769 del 25/09/2020, Rv.280198).
Parimenti illogico appare l’argomento sulla incompatibilità, ritenuta nel provvedimento impugnato, di una misura cautelare domiciliare con la condizione di irregolarità del cautelato in relazione al rispetto della disciplina sul soggiorno in territorio nazionale; orbene se tale condizione di irregolarità, sotto il profilo della ricorrenza di esigenze cautelari, può fondare una giudizio di pericolosità del cautelando con riferimento alla reiterazione di condotte criminose, stante l’impossibilità di acquisire fonti lecite di guadagno, dall’altra non può incidere sulla valutazione della idoneità della misura cautelare domiciliare la quale, come sopra evidenziato, si pone come alternativa alla custodia in carcere e rappresenta strumento di contenimento dal pericolo di recidivanza criminosa e non già di regolamentazione sociale dei diritti e delle facoltà del cautelato, né lo legittima, se non nei limiti strettamente necessari all’assolvimento di essenziali bisogni della persona (art. 284 comma 3 cod. proc. pen. con riferimento alla salute e alla alimentazione) allo svolgimento di attività precluse dalla sua condizione di “irregolarità” sul territorio nazionale (Sez. 1, n.10315 del 30/01/2020, Rv. 278690; S.U., n.14500 del 28/03/2006).
Sotto diverso profilo la valutazione di incompatibilità della condizione personale e amministrativa del cautelato con la natura e la funzione della misura cautelare domiciliare ha determinato un totale difetto di motivazione sulla verifica della eventuale adeguatezza di una misura cautelare domiciliare accompagnata da congegni elettronici di controllo a distanza, tenuto conto del contenuto e della intensità delle esigenze cautelari da preservare (che il giudice della cautela aveva ricondotto, oltre che al pericolo di recidivazione anche a quello di fuga connesso alla condizione di irregolarità), valutazione che dovrà pertanto essere svolta, a fronte dell’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata per i motivi sopra indicati.
