Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 31790/2023, udienza del 23 giugno 2023, si è occupata del ricorso nell’interesse di un difensore condannato per oltraggio a magistrato in udienza.
Qui di seguito i passaggi cruciali della motivazione.
Dalla lettura della sentenza della Corte territoriale risulta che il ricollegarsi da parte dell’imputato alle frasi oltraggiose pronunciate dal coimputato non si esaurì soltanto nell’enfasi dei toni e, dunque, nelle modalità enfatiche dell’arringa, a cui seguì – per come prospettato dal ricorrente – un’autonoma «minaccia» di esercitare l’azione disciplinare, ma si sostanziò, invece, in un’accusa di sconoscere i principi basilari del diritto, per come ricavato, in modo continente, dalle espressioni in quella sede profferite e riportate dalla Corte di appello ad esplicitazione del percorso motivazionale («Tutte le filosofie che fa il pubblico ministero si scontrano con un principio che è rodato e che io l’ho studiato al primo anno di università..».. «… il 1488 lei lo deve studiare, non io…»…«è sufficiente fare una ricerca su internet, collegarsi, per questo negligenza ed imperizia»).
La portata oltraggiosa della condotta dell’imputato venne dunque ravvisata, in aderenza al capo di imputazione elevato – che la riproduce pedissequamente in parte qua espressamente ascrivendola al ricorrente nella qualità di avvocato – , nell’accusa di ignoranza e negligenza al pubblico ministero nell’esercizio della propria professione, nella formulazione del capo di imputazione, nonché nelle allusioni al mancato possesso di conoscenze di diritto basilari.
Tale ultima affermazione non può, quindi, a differenza di quanto prospettato dal ricorrente, ricondursi esclusivamente alle dichiarazioni rese dal coimputato, in quanto il riferire il mancato possesso di conoscenze basilari del diritto e invitare il magistrato inquirente a tornare a studiare la questione controversa, unitamente alla contestazione, senza alcun rispetto del limite della continenza, di essere ignorante, negligente ed imperito, integra il reato contestato.
Di conseguenza, per come rimarcato dalla Corte d’appello, sono tali espressioni che risultano lesive della onorabilità del magistrato e, dunque, assumono un autonomo disvalore, essendosi al contempo esclusa la legittima critica al provvedimento cautelare che, dinanzi al giudice per le indagini preliminari, era oggetto di disamina.
In tale contesto, quindi, la minaccia espressa in udienza mentre si controverteva sulla sussistenza dei presupposti per emettere una misura cautelare nei confronti del proprio assistito, di sollecitare l’azione disciplinare e promuovere l’azione di responsabilità civile nei confronti del magistrato del pubblico ministero, lungi dall’assumere una valenza di disvalore autonoma del tutto svincolata dall’offesa profferita, rileva quale relativo elemento circostanziale, per come precisato dalla Corte di merito, laddove, a proposito della minaccia, non solo ne esclude la rilevanza funzionale rispetto alle argomentazioni poste a fondamento della tesi difensiva, ma la lega, in un rapporto di efficienza causale, allo scopo di ridicolizzare e screditare oltre che di intimorire il magistrato.
E ciò proprio in ragione della successione temporale degli eventi ove al dichiarato intento di agire nei confronti del magistrato seguono le affermazioni di contenuto oltraggioso in precedenza indicate.
La Corte di appello, quindi, ha chiarito, con motivazione congrua, come il ricorrente dovesse considerarsi responsabile delle offese rivolte al magistrato in udienza non per i toni o le modalità enfatiche dell’arringa, ma «per l’obiettiva capacità delle sue frasi pronunciate a ledere l’interesse giuridico protetto che si identifica con il rispetto dovuto alle funzioni giudiziarie esercitate da un magistrato in quel contesto funzionale».
In tale ottica, le parole impiegate dal ricorrente, ossia «l’aver fatto ripetutamente riferimento a profili di negligenza, imperizia ed ignoranza, oltre che l’invito sarcastico a studiare principi che si insegnano agli studenti del primo anno della facoltà di giurisprudenza», avevano avuto ad oggetto apprezzamenti offensivi della reputazione e del prestigio del magistrato preso di mira, in quanto direttamente rivolti alla persona del magistrato, anziché ai provvedimenti assunti.
