La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 28293/2023 ha stabilito che in tema di prova documentale, sono utilizzabili i filmati che, realizzati mediante videoriprese legittimamente effettuate, sono stati conservati per un tempo superiore a quello consentito dall’art. 11 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, atteso che la protezione accordata dalla legge alla riservatezza non è assoluta ed è subvalente rispetto all’esigenza di acquisizione probatoria propria del processo penale.
La decisione ci permette di riflettere sulla garanzia della genuinità dei filmati da videoregistrazioni e il rischio di manipolazione.
Nel caso specifico la difesa nel ricorso avanti alla Suprema Corte sosteneva la natura di “dato informatico” e non di mero documento, come affermato dalla sentenza impugnata, per cui nell’acquisizione doveva essere rispettata la procedura prevista dall’art. 354, comma 2, cod. proc. pen. Infatti i filmati acquisiti sono registrati su un hard-disk, e sono visibili solo attraverso l’uso di un computer e di specifici programmi di riproduzione video.
Nel presente caso l’acquisizione non è avvenuta in modo tale da assicurarne la conservazione e impedirne l’alterazione, perché essi non sono stati mai formalmente sequestrati, e solo dopo circa cinquanta giorni dall’acquisizione si è proceduto ad effettuarne una copia, giorni in cui la Polizia ha “lavorato” su di essi.
Secondo la difesa dei ricorrenti non è condivisibile l’affermazione della Corte di appello, che l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 354, comma 2, cod. proc. pen. sia priva di sanzione, trattandosi di un mezzo di prova di cui non può attestarsi l’assenza di manomissione.
È altresì errata l’ulteriore affermazione, che i diritti della difesa non sarebbero stati lesi stante la consegna all’imputato di una copia dei filmati, perché la copia è stata realizzata dopo la manomissione, senza quindi mai consegnare i filmati “originali” bensì solo gli spezzoni ritenuti utili ai fini di indagine.
Ne consegue la inutilizzabilità della prova stessa.
Peraltro tale inutilizzabilità sussiste anche qualificando tali atti come ‘documenti’, perché la loro acquisizione è avvenuta senza una verbalizzazione che indichi l’identità degli autori dell’operazione e che riporti la sottoscrizione del pubblico ufficiale operante.
Decisione
La Suprema Corte ha ritenuto infondata la questione, in quanto si basa su una interpretazione della natura dei filmati acquisiti che contrasta con quella da sempre affermata dalla cassazione, a partire dalla sentenza Sezioni Unite n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267, secondo cui «Le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, 8 Corte di Cassazione – copia non ufficiale non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen.»
Tali filmati costituiscono, quindi, un mero documento, e non possono essere qualificati come ‘dato informatico solo perché registrati e conservati su un supporto digitale, essendo questo solamente il mezzo che ne consente una migliore visibilità, e che peraltro ne assicura la conservazione in modo conforme all’originale, riportando traccia di ogni eventuale manipolazione.
La giurisprudenza di legittimità è ancora oggi concorde con il principio sopra enunciato, ed anche recentemente ha ribadito che «Le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 cod. proc. pen., sicché i fotogrammi estrapolati da detti filmati ed inseriti in annotazioni di servizio non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità.» (Sez. 5, n. 21027 del 21/02/2020, Rv. 279345) e che «Le videoregistrazioni degli impianti di sicurezza costituiscono documenti ex art. 234 cod. proc. pen. acquisiti e conservati in forma digitale, ciò che permette di estrarne identiche riproduzioni in un numero indefinito di esemplari pienamente utilizzabili come prova, salvo che se ne deduca e dimostri la manipolazione» (Sez. 6, n. 15838 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275541).
In merito, poi, all’affermazione di inutilizzabilità di questa prova perché i video non sono mai stati formalmente sequestrati, ma conservati e ‘lavorati’ dalla Polizia per circa cinquanta giorni, deve essere applicato il seguente principio: “In tema di prova documentale, sono utilizzabili i filmati che, realizzati mediante videoriprese legittimamente effettuate, sono stati conservati per un tempo superiore a quello consentito dall’art. 11 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, atteso che la protezione accordata dalla legge alla riservatezza non è assoluta ed è subvalente rispetto all’esigenza di acquisizione probatoria propria del processo penale”.
Fattispecie in cui sono stati ritenuti utilizzabili i filmati degli impianti di videosorveglianza posti a presidio della sicurezza di una caserma, acquisiti e conservati per diversi mesi senza l’adozione di alcun provvedimento di sequestro e senza informare la Procura).» (Sez. 1, n. 27850 del 02/12/2020, dep. 2021, Rv. 281638.
Nella motivazione, questa sentenza ha altresì affermato che “Nessuna sanzione di nullità o inutilizzabilità presidia, poi, l’obbligo della polizia giudiziaria di verbalizzazione di specifici atti espressamente indicati dagli artt. 357 e 373 cod. proc. pen. e in generale, di documentazione delle attività svolte, comprese quelle dirette ad individuare delle fonti di prova, … mentre la disciplina di cui all’art. 354, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l’obbligo di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici o telematici acquisiti a quelli originali, non è pertinentemente invocata, tanto più che … il ricorrente non ha nemmeno prospettato una possibile alterazione delle immagini”.
Anche nel presente ricorso il ricorrente si limita ad insinuare il dubbio di una manipolazione di detti video ma, in concreto, non indica quale alterazione essi presentino o quale difformità abbiano apportato rispetto al quadro probatorio, mentre l’affermazione di una loro inutilizzabilità solo perché non sono stati mai sequestrati o perché la loro acquisizione non sarebbe stata formalmente verbalizzata è infondata, non essendo tali formalità accompagnate da una simile sanzione.
