La storia che racconterò ha dell’incredibile ma è avvenuta a Roma in una aula di
giustizia dove il pubblico ministero teneva udienza con una pistola nella fondina.
Forse pochi sono a conoscenza che fino al 2018 i vice procuratori onorari e i giudici
onorari di pace e giudici ausiliari di Corte d’Appello avevano la possibilità di possedere
un’arma senza licenza per il solo fatto di essere stati nominati.
Anch’io ho svolto, nel lontano 1995-96, la funzione di vice procuratore onorario e nella
tessera personale di riconoscimento potete leggere: “ai fini del Porto d’Armi senza
licenza”.
Naturalmente non ho mai posseduto un’arma ma alcuni miei colleghi hanno sentito
l’esigenza di averla (anche senza aver subito minacce o aggressioni) e quello che più
stupisce che uno in particolare si beava di portarla in aula mentre svolgeva la funzione
di Vpo.
La vicenda non l’ho mai raccontata neanche sotto pseudonimo su Filodiritto perché
Edmond Dantes e l’Abate Faria volevano preservare il peccatore al quale mi legava un
rapporto di amicizia.
Ora il peccatore pentito, dopo tanti anni ed a seguito di una serata altamente alcolica,
mi ha dato il consenso alla divulgazione dopo circa 30 anni dal fattaccio.
In pratica, in un’aula del tribunale monocratico si svolgeva udienza e mentre mi
avvicino al vpo per chiedergli in visione un fascicolo il mio occhio sempre attento
scorge il calcio di una pistola a tamburo sotto la sua giacca.
Il vpo aveva la consuetudine di indossare sempre un paio di occhiali Rayban con lenti
verdi, vi ricordate l’ispettore Callaghan?
Al simpatico amico sussurro all’orecchio se per caso fosse impazzito e di quanto la
stesse facendo fuori dal vaso per usare un eufemismo che spesso accompagna il mio
intercalare.
Dopo la lavata di testa il buon novello Callaghan ripose nel cassetto la pistola, almeno
quando era in aula consapevole che come diceva Cicerone: “In mezzo alle armi, le leggi
tacciono”.
Recentemente il Consiglio di Stato ha confermato la circolare numero 11799 del 2018
con la quale il Ministero della Giustizia (Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria
del personale e dei servizi – Direzione generale dei magistrati) ha disposto il ritiro dei
tesserini di riconoscimento in corso di validità dei giudici ausiliari di Corte d’Appello,
dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari al fine della loro sostituzione con nuovi modelli privi della dicitura “valido ai fini del porto d’arma senza licenza – art. 7 legge 21.2.1990, n. 36”.
Alcuni magistrati onorari hanno impugnato detto provvedimento davanti al giudice
amministrativo.
Il Consiglio di Stato con la sentenza numero 1062 sez. V, 4 febbraio 2021 ha
confermato che: Il porto d’armi senza licenza è previsto dall’art. 7 della legge 36/1990
per i soli magistrati di professione e non si applica ai giudici onorari
L’art. 7 della legge 36/1990 prevede che, ai soli fini della difesa personale, è consentito
il porto d’armi senza la licenza di cui all’articolo 42 del TULPS ai magistrati
dell’ordine giudiziario, anche se temporaneamente collocati fuori del ruolo organico.
Secondo il Consiglio di Stato, che ha confermato la decisione del TAR Lazio, la
circolare del Ministero è corretta ed è conforme all’ordinamento costituzionale. Il
riferimento normativo ai «magistrati dell’ordine giudiziario» va intenso nel senso
dei soli soggetti di cui all’ art. 4, comma 1, r.d. n. 12 del 1941.
A ciò porta sia la ratio legis (l’attribuzione della facoltà è in ragione della potenziale
esposizione a pericolo per l’esercizio delle funzioni giudiziarie: circostanza che
normalmente non si realizza per gli affari minori cui sono addetti i magistrati onorari),
sia la rivelatrice precisazione per la quale la facoltà permane anche nel periodo
eventualmente trascorso in posizione di fuori ruolo, cioè indipendentemente dal
rapporto organico in un ufficio giudiziario, dunque con radicamento piuttosto nel
rapporto di servizio. Del resto, solo il magistrato professionale può essere collocato in
posizione di fuori ruolo senza con questo perdere la collocazione nell’ordine
giudiziario.
La norma di che trattasi inoltre – osserva il C.d.S. – è di stretta interpretazione
perché fa eccezione al generale divieto di porto delle armi (art. 699 Cod. pen. e art.
4, primo comma, l. n. 110 del 1975).
Da tutto questo consegue che, per volontà della legge, è consentito il porto d’armi
senza licenza ai soli magistrati di professione (cfr. Cass. pen., I, 28 maggio 2015, n.
22567, secondo cui l’esonero dall’obbligo di denuncia di detenzione e l’autorizzazione
al porto d’armi non si riferisce ai magistrati onorari), a coloro cioè che stabilmente e
istituzionalmente esercitano funzioni giurisdizionali.
Diversamente sarebbe consentito il porto d’armi senza licenza a chi svolge in via
principale non l’attività di magistrato (onorario) ma un’altra attività lavorativa e
professionale.
Il Collegio ha altresì ritenuto che:
- la circolare impugnata non viola un diritto quesito: non vi è una norma
sopravvenuta che, limitando l’applicazione di una precedente disposizione
estensiva, abbia ristretto situazioni consolidate corrispondenti a incomprimibili
diritti umani: vi è semmai un beneficio in passato attribuito per incongrua lettura
del dato normativo (ad opera di precedenti circolari del 1994 e del 1996): al quale,
l’obbligo dell’amministrazione di far costantemente corretta applicazione della
legge, impone di rimediare; - anche a voler ipotizzare che un analogo esercizio di funzioni giudiziarie possa
esporre i magistrati onorari ai medesimi rischi per aggressioni dei magistrati
ordinari (il che nella media non è), non v’è un’illogica disparità di trattamento
perché il diverso statuto professionale degli uni e degli altri legittima trattamenti
differenziati nei termini indicati: tanto più che, contrariamente a quanto
sostenuto dagli appellanti, il porto d’armi senza licenza non è correlato in via
diretta allo svolgimento in concreto della “funzione magistratuale”; - l’accostamento dei magistrati onorari ai giudici popolari è effettuato al solo
scopo di marcare la differenza tra i magistrati che compongono l’ordine
giudiziario e quelli che vi appartengono per le funzioni temporaneamente svolte
e, in questi termini, non è illogica: entrambi, pur con competenze diverse, sono
in funzione della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia (cfr.
art. 102, comma 3, Cost.).
