Restituzione in termini per l’appello: ne ha diritto l’imputato ingannato dal suo legale che gli ha nascosto di essere stato sospeso dall’esercizio della professione (di Vincenzo Giglio)

Vicenda giudiziaria e motivi di ricorso per cassazione

La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’istanza di restituzione in termini presentata da XXX per proporre appello avverso la sentenza emessa nei suoi confronti dal Tribunale il 12 maggio 2022. XXX ricorre per cassazione a mezzo del proprio difensore, articolando un unico motivo di ricorso, con cui lamenta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la tardività dell’istanza riscontrata dalla Corte di appello e la conseguente declaratoria di inammissibilità, sulla base della avvenuta conoscenza della definitività della decisione a far data dalla notifica del relativo ordine di esecuzione.

Al contrario, la ricorrente – ingannata dal proprio difensore di fiducia (il quale, pur sospeso dall’Ordine degli avvocati, celandole tale circostanza, aveva continuato a rassicurarla su fatto che si sarebbe occupato lui dell’impugnazione) – si era incolpevolmente affidata al proprio legale, di modo che il termine per proporre l’istanza non poteva che farsi decorrere dalla piena consapevolezza dell’accaduto, all’esito dei controlli effettuati dal nuovo difensore presso l’ufficio giudiziario.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è stato trattato e deciso dalla seconda sezione penale con la sentenza n. 30262/2023, camera di consiglio del 30 maggio 2023.

Il collegio lo ha accolto per le ragioni che seguono.

La Corte di appello fonda la propria declaratoria di inammissibilità sulla tardività dell’istanza e sulla negligenza della parte istante, che avrebbe potuto e dovuto mettersi in contatto con il difensore di ufficio per verificare compiutamente la propria situazione.

Ai sensi dell’art. 175, comma 1, cod. proc. pen., le parti private e i difensori possono presentare richiesta per la restituzione nel termine, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla cessazione del fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.

Nel caso di specie, la circostanza qualificabile come forza maggiore – intesa come impedimento assoluto e tale da rendere vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne non imputabili all’interessato – dovrebbe individuarsi nella incolpevole ignoranza della mancata impugnazione, da parte del difensore di fiducia, della sentenza di condanna emessa dal tribunale.

È sicuramente ininfluente, per la conoscenza della mancata impugnazione, la notifica dell’ordine di esecuzione a cui fa riferimento la Corte territoriale, in quanto concernente provvedimenti diversi dalla sentenza di cui trattasi e ad essa di molto precedenti.

Il ricorso per la restituzione nel termine è stato depositato il 15 dicembre 2022. Secondo la difesa, il dies a quo per il decorso del termine di dieci giorni, andrebbe individuato nel 7 dicembre 2022, allorquando il nuovo difensore avrebbe avuto accesso al fascicolo e preso contezza della mancata impugnazione della sentenza; grava nondimeno sulla parte istante l’onere di provare rigorosamente il verificarsi e il venir meno della circostanza ostativa al tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione (cfr. Sez. 2, n. 17708 del 31/01/2022, Rv. 283059)

Secondo il consolidato orientamento di legittimità, il mancato o l’inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è di per sé idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine, dovendosi valutare, caso per caso, le modalità di controllo dell’assistito sull’esatta osservanza dell’incarico conferito e il quadro normativa in cui si inserisce la vicenda oggetto del procedimento (Sez. 6, sentenza n. 2112 del 16/11/2021, dep. 2022, Rv. 282667).

Nel caso di specie, emerge un quid pluris: il comportamento decettivo e gravemente sleale dell’avvocato che ha indotto in errore la sua cliente, non solo tacendo sulla propria sospensione, rassicurandola sul fatto che avrebbe provveduto ad impugnare la sentenza di condanna (comportamento tale da essere qualificabile come forza maggiore, salvo ulteriori specifiche risultanze procedimentali di senso contrario emergenti ex actis).

In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio.