Il Quattordicesimo libro bianco sulle droghe (di Vincenzo Giglio)

È stato appena pubblicato (ed è disponibile ad accesso libero) “La traversata del deserto. Quattordicesimo libro bianco sulle droghe. Gli effetti della legge antidroga. Edizione 2023 su dati 2022” a cura di La società della ragione onlus, forumdroghe onlus, Antigone, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, CGIL, Associazione Luca Coscioni, LLIA e legacoopsociali.

La pubblicazione (allegata alla fine del post) è stata curata da Grazia Zuffa, Franco Corleone, Stefano Anastasia, Leonardo Fiorentini, Marco Perduca e Maurizio Cianchella.

È un documento autorevole e credibile per qualità della ricerca, capillarità dei dati raccolti, rappresentatività ed esperienza delle associazioni e degli autori che hanno concorso alla sua stesura.

Proponiamo qui di seguito il testo integrale dell’introduzione, a firma di Anastasia e Corleone, ma raccomandiamo vivamente la lettura di tutto il libro bianco, essendo convinti che, premessa la legittimità di ogni opinione, sia comunque indispensabile essere informati sui fatti.

Abbiamo riletto le nostre introduzioni degli ultimi tre Libri Bianchi e abbiamo trovato la conferma di analisi puntuali sulle conseguenze inevitabili delle scelte della politica sulle droghe in Italia e il catalogo delle occasioni perdute da governi e dal Parlamento negli anni scorsi, quando si poteva, ma la prudenza e la paura paralizzarono le riforme anche minime.

Denunciavamo la scelta della Corte costituzionale presieduta da Giuliano Amato di non ammettere il referendum sulla legalizzazione della canapa con clamorosi errori di fatto e di diritto.

Un giorno la storia attribuirà anche al dottor Sottile e alla sua decisione politicista l’inaridirsi della passata legislatura, le elezioni anticipate e la vittoria della destra. Se si fossero tenuti i referendum sulla cannabis e sul fine vita, il quorum poteva essere raggiunto e si sarebbe aperto uno scenario politico diverso, con un protagonismo dei giovani e dei diritti.

Anni fa eravamo riusciti ad archiviare la retorica di Giovanni Serpelloni (do you remember la teoria dei “buchi nel cervello”?) e ora ci ritroviamo al comando della politica antidroga Alfredo Mantovano, il dottor Sottile della destra, leader dell’integralismo giuridico, vero ispiratore della legge Fini-Giovanardi per cui “la droga è droga”, senza distinzioni e con una pena unica, per la detenzione di qualsiasi sostanza, da sei a venti anni di carcere.

Solo il genio di Luigi Saraceni, l’iniziativa della Società della Ragione, l’impegno di Giovanni Maria Flick e, infine, la Corte costituzionale ci liberarono da quella aberrazione.

Questo Libro Bianco contiene l’analisi dei dati relativi al 2022, in continuità con gli esiti degli anni precedenti.

Le segnalazioni al prefetto per consumo di sostanze stupefacenti, dal 1990 ad oggi, superano il milione e quattrocentomila unità, di cui un milione per cannabinoidi.

Maurizio Cianchella, con la consueta puntualità, sottolinea che nel 2022 aumentano gli ingressi dei soggetti definiti tossicodipendenti (15.509 su un totale di 38.125, pari al 40,7%), a cui si aggiungono 9.961 persone, pari al 26,1% del totale, entrate per violazione dell’art. 73 del testo unico sulle droghe. Sui 56.196 detenuti presenti al 31 dicembre dello scorso anno, 19.283 si riferiscono a violazioni del

Dpr 309/90, pari al 34,3% del totale, e 16.845, pari al 30%, a soggetti tossicodipendenti.

Un quadro terrificante aggravato dal fatto che non è disponibile il dato relativo al comma 5 dell’articolo 73 del testo unico sulle droghe, quello relativo ai fatti di “lieve entità”.

Incredibilmente la deputata Montaruli di Fratelli d’Italia ha annunciato una proposta di legge contrapposta a quella di Riccardo Magi, di cui era iniziato l’iter nella scorsa legislatura, per aggravare le pene proprio per i fatti di lieve entità.

Siamo convinti che questo rappresenti un nodo ineludibile e per questo abbiamo deciso di presentare come centro monografico del Libro Bianco la ricerca della Corte di Cassazione, a cura di Lancia e Pacella, sulla giurisprudenza della lieve entità. Su questo tema in passato presentammo uno studio di Massimo Urzi con la proposta che il comma 5 diventi un articolo autonomo, anche per distinguere sin dall’inizio del procedimento penale la detenzione e il piccolo spaccio di sostanze stupefacenti dal traffico e dalla commercializzazione su grande scala.

Ripresentiamo la simulazione su quale carcere avremmo senza le presenze legate alle questioni sociali e culturali legate al consumo di sostanze stupefacenti: non avremmo bisogno di nuove carceri e di padiglioni che tolgono spazi vitali, si abbatterebbe il sovraffollamento e il carcere si potrebbe limitare ai casi di gravi reati contro la persona, l’ambiente e l’economia.

Il numero delle misure di comunità cresce, ma insieme con il carcere, non a suo detrimento, con la caratteristica classista di un nuovo doppio binario, per cui la gran parte di chi entra in carcere è destinato a restarvi fino all’ultimo giorno mentre chi ha risorse personali, familiari o relazionali può contare sulla messa alla prova processuale, sulle sanzioni sostitutive o sulle alternative al carcere in corso di esecuzione penale.

Che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Gli annunci sono preoccupanti. Già il sottosegretario Mantovano alla riunione della Commissione sulle sostanze stupefacenti di Vienna, nel marzo scorso,

ha riproposto le più viete tesi proibizioniste, rinnovate il 26 giugno, in concomitanza della presentazione di questo Libro Bianco, in presenza di una associazione americana insignificante (almeno Serpelloni convocava il National Institute on Drug Abuse).

Abbaieranno alla luna, ma le minacce sono forti e la proposta del sottosegretario Del Mastro di trasferire i detenuti tossicodipendenti in comunità elefantiache e chiuse come San Patrignano, sottratte alla regia dei servizi territoriali per le dipendenze, suona come un ricatto per le strutture non salvifiche, a dimensione umana, che lavorano a stretto contatto con i servizi pubblici e con il territorio.

Gli interventi in questo Libro bianco di Stefano Vecchio, Riccardo De Facci, Denise Amerini, Susanna Ronconi, Marco Perduca, Leonardo Fiorentini, Leopoldo Grosso offrono ragioni e argomenti per resistere a questa larvata privatizzazione del carcere e al suo business.

Riguarda il carcere e quindi la politica sulle droghe, che crea il serbatoio della detenzione sociale, la proposta di modifica dell’art. 27 della Costituzione ripresentata dal viceministro Cirielli (nella scorsa legislatura la prima firmataria era Giorgia Meloni).

La finalità rieducativa della pena diventerebbe una variabile dipendente della “difesa sociale”, con buona pace del riconoscimento dei diritti inviolabili della persona assicurato dall’articolo 2 della Costituzione.

Alessandro Margara, con l’ironia sferzante che lo contraddistingueva, provò a scrivere l’articolo 27 come immaginava lo volesse l’allora ministro Angelino Alfano: “Le pene possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono limitarsi, senza altri scopi, a contenere il condannato per il tempo necessario all’esecuzione della pena”.

Non avrebbe certo immaginato che da parte del maggiore partito, che esprime la Presidente del Consiglio, si arrivasse a scrivere, e non per scherzo, che: “La pena (al singolare, ndr), che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione. Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale”.

Il 29 luglio, anniversario della scomparsa di Margara, leggeremo i commenti al testo Cirielli scritti da giuristi e da persone dotate del senso di umanità che vivono la realtà delle carceri.

Ma non è tutto. Il quinto comma dell’articolo 27 della Costituzione, proposto da Cirielli & co., nuovo di zecca, prevede che la legge determini, secondo principi conformi alle disposizioni del nuovo articolo 27, le finalità e le modalità delle misure di sicurezza. Ecco un nuovo fronte di battaglia, la Società della ragione ha predisposto una proposta di legge per abolire le misure di sicurezza per imputabili, che tutt’ora consentono l’internamento nelle sedicenti Case di lavoro di 280 sventurati vittime del Codice Rocco e della concezione lombrosiana del delinquente nato.

Ancora una volta, recenti fatti di cronaca hanno messo in luce come le vittime di abusi e maltrattamenti da parte di appartenenti alle forze di polizia siano persone inermi e inoffensive, con problemi di salute mentale o dipendenze, migranti o senza fissa dimora.

Anche per questo è inaccettabile la discussione pubblica animata ancora una volta dal partito della presidente del consiglio per l’abolizione del reato di tortura e la sua trasformazione in una mera aggravante comune. In questo modo, peraltro, si offendono non solo le vittime dei numerosi procedimenti aperti dopo l’introduzione del reato di tortura nel codice penale, ma gli stessi operatori delle forze di polizia che rifiutano l’uso ingiustificato e discriminatorio della violenza o che addirittura hanno denunciato i loro colleghi, come nel caso del nucleo investigativo interno della Questura di Verona.

Un altro mito va abbattuto, quello del doppio binario e della non imputabilità. Dopo la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, la riforma non può tornare indietro, trasformando le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza in mini Opg a carico del Servizio sanitario nazionale, ma deve proseguire radicalmente e anche su questo la proposta esiste, sostenuta da un ampio fronte di giuristi, psichiatri e movimenti impegnati contro le istituzioni totali.

Infine sosteniamo l’ipotesi della sperimentazione di “Case di reintegrazione sociale”: piccole strutture gestite dalle Amministrazioni locali per accogliere i detenuti con un fine pena sotto i dodici mesi, con un duplice obiettivo, ridurre il sovraffollamento (sono oltre settemila le persone in questa condizione) e realizzare davvero una giustizia di comunità, non retorica né velleitaria. Anche questa proposta è stata depositata alla Camera dei deputati. Come si diceva una volta, sappiamo tutto, bisogna agire.

Il Libro Bianco si conclude come da tradizione con un intervento di Patrizio Gonnella che invita a un lavoro di lunga durata destinato ai giovani, perché siano loro i protagonisti del cambiamento“.

Molto su cui riflettere. Buona lettura.