Chiamate in correità o reità de relato  e convergenza del molteplice: un canone ad assetto variabile (di Vincenzo Giglio)

Dieci anni fa le Sezioni unite penali della Corte di cassazione furono chiamate a rispondere al quesito che segue: “se la chiamata in reità o in correità de relato, in assenza della possibilità di esaminare anche la fonte diretta, possa avere come unico riscontro, ai fini della prova di responsabilità penale dell’accusato, un’altra chiamata de relato“.

La loro chiamata in causa dipendeva ovviamente dall’esistenza di un conflitto interpretativo.

C’erano infatti decisioni di legittimità emesse sul presupposto che la chiamata accusatoria de relato avesse un’efficacia dimostrativa inferiore a quella della chiamata diretta e necessitasse pertanto di riscontri particolarmente rigorosi che non fossero anch’essi de relato.

E c’erano altre decisioni che, al contrario, ritenevano legittimo che due chiamate de relato si riscontrassero vicendevolmente purché derivanti da fonti dirette differenti e si potesse escludere che fossero frutto di intese fraudolente.

Le Sezioni unite risolsero il conflitto con la sentenza n. 20804, emessa in esito all’udienza del 29 novembre 2012 e depositata il 14 maggio 2013.

Così fu precisato il punto di diritto:

La chiamata in correità o in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato altra o altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate le seguenti condizioni:

a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità;

b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo;

c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del “thema probandum”;

d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente;

e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse“.

Può essere utile ricordare che nella motivazione della decisione, le Sezioni unite, analizzando il complesso delle disposizioni dell’art. 192 c.p.p.,  rivendicarono orgogliosamente il valore ideale del principio del libero convincimento quale punto di riferimento del processo valutativo dei dati probatori  e ridussero a segnali didattici e mere linee-guida metodologiche le norme contenute nei commi successivi al primo.

Se si volesse esemplificare attraverso il ricorso a slogan, ecco cosa verrebbe da dire: mani libere, convergenza del molteplice, destinazione all’oblio del percorso guidato previsto dal legislatore.

Veniamo ai giorni nostri e vediamo che eredità ha lasciato quella perla di sentenza.

Un buon esempio è Cass, pen., Sez. 1^, sentenza n. 21348/2023, udienza del 25 gennaio 2023.

Nel caso di specie un importante elemento di accusa è stato individuato dai giudici di merito nelle dichiarazioni accusatorie de relato di due distinti collaboratori.

La particolarità è che entrambi hanno riferito confidenze che avrebbero ricevuto da un imputato.

La difesa ha eccepito fino allo sfinimento che tali dichiarazioni non potevano essere l’una il riscontro dell’altra poiché la fonte primigenia era identica.

Il collegio di legittimità ha risposto così: “La sentenza affronta la questione, richiamando il principio secondo cui le confidenze autoaccusatorie dell’imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talché, una volta positivamente vagliata l’attendibilità del collaboratore ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti auto-calunniatori (Sez. 5^, n. 27918 del 25/05/2021, Rv. 281603 – 0; Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Rv. 278503 – 01). La sentenza conferma l’attendibilità dei due collaboratori e sottolinea l’assoluta autonomia delle dichiarazioni confessorie a loro rese da xxx in occasioni differenti e con diverso contenuto; anche yyy, come xxx, aveva una posizione rilevante nella famiglia zzz e per questo motivo i giudici di merito hanno ritenuto verosimili le confidenze fattegli dall’imputato“.

E “l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse”?

Sparita, desaparecida, non conta più nulla.

Così è, se ci pare.