Il fatto
Ti chiami Tizio, fai l’avvocato, non fai parte del foro di Brescia (la cosa ha una certa importanza, lo si capirà più avanti), sei uno di poche parole (conta anche questo, lo si vedrà), hai una PEC (avv.tizio.@pec.it) (questo pure), difendi un imputato che è stato condannato in primo grado.
Viene fissata l’udienza di appello, non chiedi la trattazione orale e non la chiede neanche il PG.
Si applica quindi il cosiddetto rito cartolare regolato dall’art. 23-bis L. 176/2020.
Non oltre dieci giorni prima dell’udienza il PG redige un atto con le sue conclusioni e lo trasmette telematicamente alla cancelleria della Corte di appello.
La cancelleria lo comunica immediatamente al difensore nello stesso modo.
Non oltre cinque giorni prima dell’udienza il difensore può scrivere un atto con le sue conclusioni e trasmetterlo telematicamente alla cancelleria.
Ma, come tutti sanno, anche gli schemi più semplici possono essere travolti dall’errore umano, come insegna il primo assioma della Legge di Murphy: “se qualcosa può andare male, lo farà“.
Il PG fa la sua parte correttamente.
Tocca alla cancelleria che fa il suo ma lo fa male: trasmette telematicamente la requisitoria del PG e, pensando di comunicare con te, la manda all’indirizzo tizio@brescia.pecavvocati.it anziché a quello tuo.
Tu trasmetti telematicamente le tue conclusioni entro il termine che ti è assegnato e non eccepisci di non avere ricevuto la requisitoria del PG.
Succede poi che la Corte d’appello conferma la condanna e ti tocca ricorrere per cassazione.
Lo fai e, tra i vari motivi, inserisci la nullità derivante dalla mancata comunicazione della requisitoria.
La decisione
Il tuo ricorso finisce alla quinta sezione penale che lo decide con la sentenza n. 34790/2022 (udienza del 16 settembre 2022).
La decisione spende in apertura bellissime parole sul contraddittorio in appello, attestando che “è essenziale e necessario, perché funzionale al ragionamento induttivo che caratterizza il giudizio e che pretende il confronto serrato su “probabilità comparative”, fra ipotesi e controipotesi, prove e controprove, argomenti e controargomenti. Esso trova copertura costituzionale nella previsione dell’art. 111, comma 2, Cost., posto a presidio del contraddittorio incentrato sul diritto “di dire e contraddire”, cioè il contraddittorio di tipo “argomentativo”.
Il tuo umore volge al bello, tutti quei “contro” ti hanno entusiasmato.
Inizia quindi la parte sistematica e i giudici di legittimità riconoscono senza difficoltà che “nel procedimento di appello la mancata comunicazione in via telematica delle conclusioni del pubblico ministero alla difesa dell’imputato, prevista dall’art. 23-bis, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito in legge 18 dicembre 2020 n. 176, integra un’ipotesi di nullità generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.”.
Hai un pizzico di inquietudine.
C’è adesso da ragionare sul regime di questa nullità e sulla sua deducibilità e il collegio lo fa così: “occorre stabilire se la nullità in rassegna debba essere sollevata dalla difesa, a pena di decadenza, prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (in sede di conclusioni o con memoria ex art. 121 cod. proc. pen.) oppure sia deducibile, per la prima volta, con il ricorso per cassazione. Questo collegio opta per la seconda soluzione. Nel medesimo senso si è espressa la giurisprudenza largamente maggioritaria (tra le altre Sez. 5, n. 20885 del 28/04/2021, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 18700 del 29/03/2022, n.m.; Sez. 1, n. 29089 del 12/04/2022, n.m.; Sez. 4, n. 31487 del 09/06/2022, n.m.); in senso difforme Sez. 6, n. 10216 del 03/03/2022, Rv. 283048 (che in motivazione ha ritenuto tardiva l’eccezione proposta con il ricorso per cassazione laddove il difensore abbia presentato conclusioni scritte nel giudizio di appello) e Sez. 3, n. 27688 del 26/05/2022, n.m. (che invoca l’applicabilità dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. nel caso delle conclusioni del P.G. non allegate al messaggio di posta elettronica trasmesso dalla Corte di appello)”. È fatta, pensi, ti pervade una sensazione di benessere ma non riesci a cancellare il brivido di chi sa di avere rischiato.
Il resto della sentenza serve a motivare nel dettaglio la conclusione raggiunta che è comunque condensata così: “Ritiene il collegio che, alla luce della ratio delle norme che governano la materia […], si versi in una ipotesi di nullità di ordine generale a regime intermedio, derivante dalla inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento dell’imputato (art. 178, lett. c, cod. proc. pen.) che si è prodotta nella fase del “giudizio” di appello e che, pertanto, può essere sollevata tempestivamente con il ricorso per cassazione ex art. 180 cod. proc. pen.; mentre non trova applicazione il disposto dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. poiché la parte non ha assistito all’atto nullo”.
È vero, il silenzio è d’oro e sei contento del risultato, ma intanto pensi che, dovesse capitarti di nuovo la stessa situazione, due parole in più le aggiungerai nelle tue conclusioni scritte prima di trasmetterle telematicamente.
