Diffamazione: è integrata dagli attacchi personali gratuiti e privi di finalità di pubblico interesse (di Vincenzo Giglio)

Secondo Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 27930/2023, udienza pubblica del 4 maggio 2023, il limite all’esercizio del diritto di critica, tutelato dall’art. 21 Cost., deve intendersi superato quando l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacché, in tal caso, l’esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell’ambito di una critica misurata ed obiettiva, sprofonda nel campo dell’aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta (Cass., Sez. V, 20 gennaio 1984, m. 163712; Cass. sez. 5, n. 7990 del 1998, Rv. 211482; Cass. sez. 5, n. 8898 del 2021, Rv. 280571).

Ciò che determina l’abuso del diritto è la gratuità delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l’uso dell’argumentum ad hominem, inteso a screditare il destinatario delle espressioni utilizzate mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale. Chi adopera questo tipo di argomenti non può invocare il diritto di critica, perché tende a degradare il confronto di idee e di progetti a uno scontro personale tra pregiudizi alimentati dalle contumelie, sottraendo ai destinatari del “messaggio” ogni possibilità di serena e civile partecipazione ad esso.

E dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente e come correttamente affermato dalla Corte territoriale, il soggetto leso dalle esternazioni insultanti – sia pure in quanto rappresentante od esponente di un ordine professionale, a sua volta attaccato da proposizioni oggettivamente e profondamente offensive – è individuato espressamente ed apostrofato con parole inaccettabili.

Non si tratta (solo) di isolate “parolacce” o di inviti “alla sfida”, ma di inequivoche, rozze espressioni volte a screditare, con diretta incidenza sulla sua reputazione, l’attività professionale ed istituzionale della persona offesa, definita in modo sprezzante – tra gli altri – come appartenente ad un ordine di “giornalai di merda” e incluso, in quanto tale, in una categoria di “venduti leccaculo del potere“, con ciò avvilendone il ruolo a quello di un mero e servile esecutore dei comandi dei detentori del potere, subordinato al soddisfacimento di interessi personali, a costo di tradire la propria libertà di coscienza.