Patrocinio a spese dello Stato: la dichiarazione sostitutiva attestante il reddito non deve essere oggetto di separata allegazione (di Riccardo Radi)

Il procedimento per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve essere improntato alla semplicità delle forme e senza gravare di oneri inutili il difensore e il richiedente.
Il concetto espresso dalla cassazione è scarsamente seguito dai giudici di merito che sembrano trovare piacere a trovare cavilli per respingere la richiesta, in questo caso i giudici di merito avevano ritenuto che la dichiarazione in ordine alla capacità reddituale del proprio nucleo familiare da parte dell’istante doveva essere allegata all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e non poteva essere ricompresa al suo interno.
La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 22110/2023 ha stabilito che ai fini della ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la dichiarazione sostitutiva di certificazione di cui all’art. 46, comma 1, lett. o), d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito complessivo valutabile ai sensi dell’art. 76 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non deve essere oggetto di separata allegazione, potendo essere contenuta nell’istanza stessa, per la quale non è richiesta una formale assunzione di responsabilità da parte del dichiarante.
La Suprema Corte ha precisato che il procedimento per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è improntato alla semplicità delle forme ed è del tutto irrilevante che la dichiarazione sostitutiva non contenga alcun richiamo alle sanzioni previste per le dichiarazioni false o mendaci.
La cassazione sottolinea che erra il provvedimento impugnato laddove ritiene che la dichiarazione in ordine alla capacità reddituale del proprio nucleo familiare da parte dell’istante debba essere allegata all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e non possa essere ricompresa al suo interno.
La cassazione si riporta al dettato normativo e alla lettera dell’art. 79 secondo cui: “l. L’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene: (…) c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76”.
Il sistema delineato è, dunque, oltremodo chiaro, per ciò che concerne la prospettazione formale: è contemplata un’istanza che “contiene” la dichiarazione reddituale e familiare.
Dichiarazione che, evidentemente, può anche essere richiamata nell’istanza e ad essa allegata, ma che, in virtù del richiamo, diventa un tutt’uno con l’istanza stessa.
In questo contesto va inquadrato l’art. 96 d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, dopo aver previsto al primo comma, che “verificata l’ammissibilità dell’istanza, il magistrato competente ammette l’interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall’articolo 79, comma 1, lettera c), ricorrono le condizioni di reddito cui l’ammissione al beneficio è subordinata”.
Così come va ricordato che, ai sensi dell’art. 96 TUSG, il medesimo magistrato competente (che, ai sensi dell’art. 96 TUSG è quello innanzi al quale pende il processo), che può respingere l’istanza “se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte” può a tale fine, prima di provvedere, trasmettere l’istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche.
Norma che in quest’ultima parte, normalmente, viene azionata soprattutto allorquando l’istante dichiari di avere “reddito zero”.
Il magistrato cui l’istanza è proposta può richiedere, a pena di inammissibilità, la produzione di documenti tesi a comprovare la veridicità di quanto indicato nell’istanza stessa.
E solo in tal caso può essere richiesta una serie di allegazioni successive all’istanza che – nella forma dell’autocertificazione o della certificazione – ne comprovino i contenuti.
Nemmeno pare condivisibile, inoltre, la conclusione cui perviene il Presidente del Tribunale di Bologna secondo cui “nel caso di specie, non vi è alcuna assunzione di responsabilità, ma solo l’elencazione delle condizioni per l’accesso al beneficio”.
Così non è.
Ed invero, non è in discussione che l’istante ebbe a dichiarare la sussistenza delle condizioni di reddito ex art. 79 TUSG per accedere al beneficio richiesto, di essere l’unico componente della propria famiglia e di avere reddito zero, quale risultante dalla propria ultima dichiarazione dei redditi.
Ciò, in un sistema improntato alla semplicità delle forme, con l’esplicito richiamo all’art. 79, comportava l’assunzione di responsabilità che nel provvedimento impugnato si reputa mancante. La cassazione ha già avuto modo di chiarire che è del tutto irrilevante la circostanza che la dichiarazione sostitutiva non contenga alcun richiamo alle sanzioni previste in caso di falsità e di dichiarazioni mendaci (cfr. questa Sez. 4 n. 5790 del 4/12/2019 dep. 2020, n. m.).
Inoltre, come fondatamente rileva il ricorrente, l’espressa dicitura relativa all’assunzione di responsabilità per il rilascio delle dichiarazioni mendaci e per la formazione e l’uso di atti falsi è prevista dall’art. 48 d.P.R. n. 445 del 2000 esclusivamente in tema di predisposizione dei moduli dinanzi alla pubblica amministrazione ed è disposizione non richiamata dall’art. 79 TUSG. (cfr. Sez. 4 n. 37546 del 9/6/2021, n. m.).
Va, dunque, ribadito che i requisiti che la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere a pena di inammissibilità sono fissati dall’art. 79 del TU n. 115 del 2002, che fa riferimento:
a. al numero di procedimento per il quale si chiede l’ammissione;
b. alle generalità del richiedente e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali, i cui redditi si cumulano ai fini della determinazione della soglia di reddito dell’istante nei termini indicati dall’art. 92;
c. alla dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato attestante la sussistenza delle condizioni di reddito richieste per l’ammissione;
d. all’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente;
e. alla sottoscrizione dell’interessato e, limitatamente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la certificazione dell’autorità consolare, tesa a comprovare la veridicità di quanto dichiarato;
f. all’allegazione dei documenti, solo in caso di specifica richiesta, a loro volta autocertificati, a riscontro di quanto dichiarato.
E, come più volte chiarito dalla Suprema Corte non costituisce condizione di ammissibilità dell’istanza l’indicazione dell’insussistenza di condanne per i reati previsti dall’art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, implicanti la presunzione relativa di superamento del limite di reddito ostativo all’ammissione, essendo sufficiente che l’interessato certifichi di trovarsi nelle condizioni previste da tale articolo (Sez. 4, Sentenza n. 38902 del 22/06/2017, Rv. 270724; conf. Sez. 4, n. 48972 del 13/7/2017, Rv. 271516).
Quanto al requisito sub c), ovvero alla dichiarazione della propria situazione reddituale “attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76” è lo stesso art. 79 a fare riferimento testuale al fatto che la dichiarazione sia resa “ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.
Pertanto, se, come avvenuto nel caso che ci occupa, il richiedente richiama l’art. 79 TUSG, di fatto richiama anche la normativa in materia di autocertificazioni.
E ne assume la relativa responsabilità sanzionata ex art. 95 TUSG (cfr. la richiamata Sez. 4 n. 5790 del 4/12/2019 dep. 2020, n. m.).