Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 23941/2023, udienza del 31 maggio 2023, ha deciso un ricorso presentato contro un provvedimento della Corte territoriale che ha disposto la consegna di un cittadino italiano alla Germania, in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dalla Procura Europea di Monaco di Baviera, per essere sottoposto a procedimento penale per i reati di evasione fiscale in associazione criminale integranti la fattispecie di frode, compresa quella che lede gli interessi finanziari della Comunità Europea, ai sensi della Convenzione del 26 luglio 1995 di cui all’art. 2, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, commessi in Germania dall’anno 2018 all’anno 2021, subordinando la consegna alla condizione che l’interessato, dopo essere stato sottoposto a processo, sia rinviato nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nello Stato membro di emissione.
Il collegio di legittimità ha rigettato il ricorso per infondatezza, sulla base del percorso argomentativo qui di seguito esposto.
Inesistenza dei presupposti per il rifiuto facoltativo della consegna
Va premesso che la parte non ha interesse a richiedere il rifiuto facoltativo alla consegna, posto che lo stesso è finalizzato a tutelare le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione del conflitto (vedi in motivazione Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Rv. 272912 – 01).
In ogni caso, deve evidenziarsi che i presupposti di configurabilità di tale motivo di rifiuto sono pacificamente individuati nella giurisprudenza di legittimità che, al riguardo, ha stabilito il principio secondo il quale siffatta condizione ostativa deve emergere con certezza dagli atti (Sez. 6, n. 27825 del 30/06/2015, Rv. 264055) ed è ravvisabile quando una parte della condotta, anche minima e consistente in frammenti privi dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo, purché preordinata al raggiungimento dell’obiettivo criminoso, si sia verificata nel territorio italiano (ex multis Sez. 6, n. 40831 del 18/09/2018, Rv. 274121; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, Rv. 272198; Sez. 6, n. 13455 del 18/03/2014, Rv. 261097).
…Requisito della tenuta della condotta almeno in parte nel territorio italiano
La realizzazione del reato nel territorio italiano deve risultare con certezza in ragione di un quadro fattuale desumibile in modo non controvertibile dagli stessi elementi offerti dall’Autorità di emissione o da quelli forniti in sede di integrazione ai sensi dell’art. 16 della legge n. 69 del 2005 (Sez. 6, n. 45669 del 29/12/2010, Rv. 24897), non essendo a tal fine sufficiente la mera ipotesi che il reato si sia in tutto o in parte realizzato nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 17704 del 18/04/2014, Rv. 259345).
Siffatta condizione ostativa si ricollega, evidentemente, alle implicazioni del principio di territorialità previsto dall’art. 6, secondo comma, cod. pen., secondo il quale, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminoso, purché lo stesso sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella commessa nel territorio estero (Sez. 6, n. 56953 del 21/09/2017, Rv. 272220).
L’accertamento di tale motivo di rifiuto presuppone, tuttavia, che nel territorio italiano si sia verificata quanto meno una parte della condotta per la quale specificamente si stia procedendo all’estero, secondo la descrizione che del relativo sostrato fattuale dell’ipotesi di reato oggetto della richiesta di consegna venga offerta nel M.A.E. proveniente dallo Stato di emissione.
Occorre, in altri termini, che il vaglio delibativo, al riguardo svolto dai giudici di merito, consenta di verificare la sussistenza di un “medesimo comportamento criminoso” realizzato dal “medesimo soggetto”, sia pure solo in parte, nel territorio dello Stato.
Deve trattarsi, dunque, di un segmento della medesima condotta criminosa che, “naturalisticamente” inteso e considerato unitariamente ai successivi o precedenti atti commessi all’estero, integri un’ipotesi di delitto tentato o consumato (Sez. F., n. 34572 del 28 agosto 2008, non mass.).
Non rileva, pertanto, la commissione in territorio italiano di altri reati, estranei all’oggetto dell’euromandato, anche se ascrivibili alla medesima tipologia delittuosa (Sez. 6, n. 48946 del 4 dicembre 2015, non mass.).
Quel che occorre, nella prospettiva propria della condizione ostativa in esame, è che sul territorio nazionale si sia verificata, ex art. 6 cod. pen., almeno una parte della condotta inerente al reato per il quale viene richiesta la consegna.
Del tutto diversa, di contro, deve ritenersi l’ipotesi in cui venga accertata la presenza di condotte criminose che, sotto il profilo naturalistico e ontologico, risultino in concreto distinte e autonome e risulti provato che quella per la quale si procede, in tutti gli elementi richiesti per integrarla, sia stata consumata esclusivamente all’estero, poiché a fronte di tale evenienza non può revocarsi in
dubbio che non vi sia giurisdizione italiana (Sez. F., n. 34572 del 28 agosto 2008).
Entro tale prospettiva, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia correttamente svolto il discrezionale apprezzamento di merito richiestole, escludendo che il reato per il quale è stato emesso il M.A.E. sia stato commesso, seppure per un frammento in Italia.
MAE emesso dalla Procura europea (EPPO)
Sotto altro profilo deve poi rilevarsi, come dagli atti processuali, e dalla stessa motivazione della decisione impugnata, risulti che il mandato di arresto europeo in oggetto è stato emesso dalla Procura europea di Monaco di Baviera, dunque ai sensi dell’art. 33, par. 2, del Regolamento UE 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»), sul presupposto che si tratta di reati rientranti nella competenza materiale, personale e territoriale di detto organo giudiziario ai sensi degli artt. 22, par.2, e 23 del citato Regolamento UE.
Dalla lettura del mandato di arresto europeo si comprende, al riguardo, che la competenza ad agire dell’EPPO sussiste per il fatto che gli indagati, tra i quali figura anche l’odierno ricorrente, sono indiziati per una organizzazione criminale finalizzata alla commissione di reati in materia di frodi IVA.
A norma dell’art. 33, par. 2, del citato Regolamento europeo si prevede che “qualora sia necessario procedere all’arresto e alla consegna di una persona che non si trova nello Stato membro in cui ha sede il procuratore europeo delegato incaricato del caso, quest’ultimo emette o chiede all’autorità competente di detto Stato membro di emettere un mandato d’arresto europeo ai sensi della decisione
quadro 2002/584/GAI“. Va altresì ricordato che l’art. 15 d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 9, con cui è stata data attuazione alla cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea «EPPO», prevede, nel primo comma, che “Le procedure di consegna relative a mandati di arresto europei emessi da procuratori europei delegati sono disciplinate dalla legge 22 aprile 2005, n. 69.” Nel secondo comma
di tale disposizione, inoltre, si stabilisce che “Ai fini della procedura passiva di consegna, per «Stato membro di emissione» si intende lo Stato membro dell’Unione europea in cui si trova il procuratore europeo delegato che ha emesso il mandato di arresto europeo“.
Per effetto della Decisione di esecuzione (UE) 2021/856 del 25 maggio 2021 della Commissione Europea è stata stabilita la data di inizio del 10 giugno 2021 per l’operatività del nuovo organismo giudiziario sovranazionale della Procura europea ai fini delle indagini e dell’esercizio dell’azione penale nelle materie indicate dal citato Regolamento UE 2017/1939.
Ne discende che il motivo di rifiuto correlato alla configurabilità, nello Stato richiesto, di fatti commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo ad esso assimilato, non può essere opposto nel caso in cui i problemi di coordinamento inter-giurisdizionale relativi alla pendenza di procedimenti penali per gli stessi fatti presso diverse Autorità giudiziarie di più Stati membri dell’Unione europea trovino una loro, sia pur provvisoria, soluzione per effetto dell’assunzione del coordinamento delle indagini da parte dell’EPPO, con la conseguente ripartizione, al suo interno, delle competenze fra gli Stati membri e l’eventuale esercizio del diritto di avocazione a norma dell’art. 27 del Regolamento, previa consultazione, se del caso, con le Autorità competenti dello Stato membro, o degli Stati membri, interessati: avocazione dal cui esercizio discende l’ulteriore effetto che le Autorità giudiziarie competenti degli altri Stati membri hanno l’obbligo di trasferire il fascicolo all’EPPO e di astenersi da ulteriori atti d’indagine in relazione allo stesso reato. Nel ricorrere di tale evenienza, infatti, deve ritenersi che le esigenze di coordinamento sottese alle disposizioni relative al meccanismo di consultazione predisposto dalla richiamata decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali abbiano già trovato, o siano destinate ad incontrare, un temporaneo punto di equilibrio ai fini della conduzione delle indagini e delle successive determinazioni già all’interno dell’organo d’accusa istituito a livello europeo. Occorre altresì considerare che la competenza esercitata nel caso in esame dalla Procura Europea si basa sugli artt. 22, parr. 1 e 2, 23, 120, par. 2, del citato Regolamento, in combinato disposto con gli artt. 2 e 3 della Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale: competenza, questa, chiaramente esplicitata nel M.A.E., e la cui determinazione non è stata oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente,
risultando, allo stato, coerente con il riferimento ai reati di associazione a delinquere finalizzata a frodare in materia di IVA.
Solo nell’ipotesi in cui sorga un contrasto fra l’EPPO e la Procura nazionale in merito all’eventuale attrazione della condotta criminosa oggetto del M.A.E. nella sfera di applicazione della competenza propria della Procura europea e del suo esercizio a norma degli artt. 22, 23 e 25, parr. 2 e 3, la soluzione del conflitto potrebbe essere rimessa ex art. 16 d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 9, alle determinazioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, quale Autorità giudiziaria individuata come quella competente a decidere, a livello nazionale, sul contrasto eventualmente creatosi tra la Procura europea ed una o più Procure della Repubblica, in attuazione di quanto previsto dall’art. 25, par. 6, del Regolamento UE 2017/1939.
