Per Cass. pen., Sez. 5^, sentenza 25812/2023, udienza del 19 maggio 2023, la contestazione all’indagato di avere partecipato ad un’attività estorsiva, senza che vengano specificati nel capo di imputazione i singoli reati, è possibile laddove si intenda affermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ad un reato associativo come quello di cui all’art. 416-bis cod. pen.; la Corte di cassazione ha reiteratamente affermato, in materia di reati associativi, che la commissione dei reati-fine, di qualunque tipo essa sia, non è necessaria né ai fini della configurabilità dell’associazione, né ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4^, n. 11470 del 09/03/2021, Rv. 280703).
Ai fini del riconoscimento di un soggetto come partecipe ad un’associazione di tipo mafioso non è necessario che allo stesso siano stati contestati reati fine rientranti nel programma della medesima associazione, né occorre la prova che egli abbia personalmente posto in essere attività di tipo mafioso, essendo, al contrario, sufficiente la sua aggregazione e messa a disposizione di un’organizzazione le cui obiettive caratteristiche siano tali da farla rientrare nelle previsioni dell’art. 416-bis cod. pen. (Sez. 1^, n. 13008 del 28/09/1998, dep. 11/12/1998, Rv. 211897).
Il ruolo attivo stabilmente svolto dall’indagato in uno dei settori operativi dell’associazione criminale (estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, omicidi, ecc.), esprimendo il contributo da lui arrecato al perseguimento delle finalità associative, vale a dimostrare la sua partecipazione al sodalizio criminale, anche laddove non sia raggiunta la prova della commissione da parte dell’indagato di specifici reati fine.
Laddove, quindi, risulti provata la stabile partecipazione dell’imputato alle attività della associazione mafiosa nel settore delle estorsioni, sarà possibile la sua condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., anche laddove non sia raggiunta la prova della sua partecipazione ad alcuno specifico episodio di estorsione, essendo sufficiente che egli abbia comunque contribuito in modo continuativo al perseguimento degli scopi del sodalizio criminale.
Non è, invece, vero il contrario, ossia che per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il delitto di estorsione continuata sia sufficiente la sua partecipazione ad una generica attività estorsiva, occorrendo invece la prova della sua partecipazione ai singoli delitti di estorsione di cui si compone il reato continuato.
La Corte di cassazione ha affermato, in materia di reati associativi, che il ruolo di partecipe o anche di capo dell’associazione non implica l’automatica responsabilità per i delitti compiuti dagli appartenenti al sodalizio, anche se riferibili all’organizzazione e inseriti nel quadro del programma criminoso, in quanto dei reati-fine rispondono soltanto coloro che, materialmente o moralmente, hanno dato un contributo effettivo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola, specifica, condotta criminosa, dovendosi escludere qualsiasi forma di responsabilità anomala da posizione o da «riscontro ambientale» (Sez. 2^, n. 36251 del 24/11/2020, Rv. 280315).
Tale principio deve valere a maggior ragione per l’odierno ricorrente, al quale neppure è stata contestata la partecipazione al sodalizio criminale.
Ne consegue che dovendo costituire oggetto di contestazione non un generico ruolo svolto nell’ambito di una attività delittuosa, ma singole, specifiche condotte criminose, queste devono essere esplicitate nel capo di incolpazione affinché l’accusato sia posto in condizione di difendersi.
Il requisito della «descrizione sommaria del fatto con la indicazione delle norme di legge che si assumono violate», previsto a pena di nullità della ordinanza applicativa di misure cautelari dall’art. 292, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., può essere soddisfatto dal P.M. con una enunciazione anche riassuntiva delle accuse, purché vengano precisati tutti gli elementi necessari per consentire all’indagato di difendersi adeguatamente in ordine agli addebiti contestati (Sez. 3^, n. 15671 del 05/03/2014, Rv. 259432, relativa a fattispecie in cui il capo di incolpazione indicava cumulativamente una pluralità di episodi di spaccio di stupefacenti, evidenziando la qualità e le quantità delle sostanze oggetto di singole cessioni, i nomi di alcuni degli acquirenti e il periodo complessivo nel quale si collocavano le condotte).
In tal senso si era pronunciata la Corte di cassazione con la precedente sentenza di annullamento con rinvio, osservando che la affermazione, da parte del Tribunale del riesame, che la indicazione nel capo di incolpazione provvisoria di talune delle vittime era solo esemplificativa era un argomento che precludeva «qualsiasi possibilità di difesa, siccome volta a contrastare l’imputazione di avere commesso il delitto di estorsione in danno di commercianti non identificati e le cui dichiarazioni non potrebbero mai essere acquisite quale prova a discarico».
Si consideri che la mancata indicazione nel capo di incolpazione dei fatti storici che nell’ottica del Tribunale del riesame varrebbero ad integrare, in aggiunta a quelli commessi ai danni dei singoli soggetti menzionati nel capo di incolpazione provvisoria, gli altri delitti di estorsione contestati all’odierno ricorrente determina, invece, una omessa contestazione dell’accusa, proprio perché inidonea a porre l’accusato in grado di difendersi.
Deve, quindi, escludersi che nel caso specifico il provvedimento coercitivo possa fondarsi sulla sussistenza di reati di estorsione diversi da quelli commessi ai danni dei tre soggetti precisati nel capo dell’incolpazione provvisoria.
Peraltro, affermando che i delitti di estorsione ai danni delle tre vittime menzionate nell’incolpazione provvisoria sono indicati a mero titolo esemplificativo e non sono i soli contestati all’odierno ricorrente, il Tribunale del riesame ripercorre il medesimo iter argomentativo già censurato dalla Corte di cassazione con la precedente sentenza di annullamento con rinvio, cosicché risulta anche violato l’art. 627 cod. proc. pen.
