Il difensore che intende richiedere la continuazione per rideterminare il trattamento sanzionatorio ha l’onere di allegare la sentenza a tal fine rilevante e non è sufficiente indicarne gli estremi.
La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 25830 del 15 giugno 2023 ha ribadito un criterio giurisprudenziale della Suprema Corte che nega il riconoscimento della continuazione in caso di omessa allegazione della sentenza di riferimento da parte della difesa.
La Suprema Corte ha stabilito che in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, ai fini della valutazione della continuazione cd. esterna nel giudizio di cognizione, l’imputato ha l’onere di allegare copia delle sentenze a tal fine rilevanti e non solo di indicarne gli estremi.
Si è precisato, al riguardo, che l’applicabilità anche al giudizio di cognizione della disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen., relativo alla fase di esecuzione, consentirebbe richieste dilatorie, determinerebbe allungamento dei tempi del processo di merito e impedirebbe la sospensione del termine di prescrizione dei reati.
Detto onere è dunque volto ad impedire richieste dilatorie e a garantire la celerità del rito, esigenze che, invece, non sussistono in fase esecutiva (Sez. 3, n. 41063 del 25/06/2019, Rv. 277977 – 01., Sez. 5, n. 10661 del 23/01/2023, Rv. 284291 – 01).
Che dire?
Richieste dilatorie e garanzia della celerità del rito?
In una fase di digitalizzazione del sistema giustizia appare un modo sbrigativo ed incoerente di non fare giustizia.
L’indicazione degli estremi della sentenza richiederebbe un semplice click da parte della cancelleria ma tutto ciò sembra scivolare via nell’indifferenza generale.
Queste sono le battaglie che dovrebbe combattere l’avvocatura.
