La grande bufala di SentenzeWeb (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Mesi e mesi di interruzione dell’accesso libero alla banca dati delle sentenze civili e penali della Corte di cassazione.

Spiegazioni che non spiegavano mai: imprecisati motivi tecnici prima, necessità di anonimizzazione dopo.

Oggi il servizio “Sentenzeweb” ha ripreso a funzionare, tutto è come prima, le sentenze indicano bellamente i nomi dei ricorrenti, l’anonimizzazione sembra non importare più a nessuno.

Potrebbe apparire una questione da quattro soldi e forse lo è oppure no, non lo è.

Perché, a pensarci bene, la vicenda porta con sé vari segnali e sono tutti negativi.

La sciatteria: non può piacere che un servizio di interesse pubblico e importante per la trasparenza e la controllabilità dell’operato dell’organo giudiziario di vertice sia sospeso così a lungo e senza uno straccio di spiegazione accettabile.

La contraddittorietà: non piace neanche che in Cassazione ci si senta liberi, a quanto pare, di divulgare senza battere ciglio dati sensibili suscettibili di danneggiare la reputazione degli interessati.

Il caos organizzativo: la pessima gestione della questione rende legittimo ipotizzare il rischio di analoghi deficit sul versante più propriamente giudiziario (così, ad esempio, per l’organizzazione delle udienze, la determinazione dei tempi di ascolto delle parti, il funzionamento dei filtri preventivi dai quali dipende, in ambito penale, l’inoltro alla settima sezione deputata agli esiti di inammissibilità e così via). Sospetti ingenerosi e ingiustificati? Forse sì ma forse no se anche una funzione semplice come la gestione di una banca dati pare non essere alla portata della Suprema Corte.