Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 20967/2023, udienza del 3 maggio 2023, ricorda principi basilari in tema di riparazione per ingiusta detenzione.
Vicenda giudiziaria e motivi di ricorso per cassazione
BML ha patito 924 giorni di ingiusta detenzione carceraria finché il competente tribunale del riesame ha revocato la relativa ordinanza.
Di seguito è stato assolto con sentenza definitiva dai reati contestatigli per non avere commesso il fatto.
Si è rivolto quindi alla Corte di appello chiedendo la riparazione per tale ingiusta detenzione.
La Corte ha rigettato la sua istanza sostenendo che le captazioni ambientali e telefoniche acquisite nel giudizio dimostrassero comportamenti opachi dell’interessato e la sua vicinanza ad ambienti mafiosi.
Il difensore di BML ricorre per cassazione.
La decisione della Corte di cassazione
Il collegio ha ricordato il principio consolidato (Sez. 4, n. 22103 del 21/03/2019, Rv. 276091-01; Sez. 4, n. 5452 del 11/01/2019, Rv. 275021-01; Sez. 4, n. 54042 del 09/11/2018, Rv. 274765-01; Sez. 4, n. 22806 del 06/02/2018, Rv. 272993-01) in applicazione dell’indirizzo segnato dalle Sezioni unite (Sez. unite, n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247663-01) per cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’aver dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave non opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto, qualora l’accertamento della insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare; in tale ipotesi, il giudice della riparazione non può neppure valutare – nemmeno al diverso fine della eventuale riduzione dell’entità dell’indennizzo – la condotta colposa lieve.
Ciò, all’evidenza, è quanto verificatosi nel caso di specie, avendo la Corte di appello espressamente affermato che la revoca della misura custodiale per mancanza di gravità indiziaria era stata disposta dal Tribunale del riesame in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. sulla base dei medesimi elementi sottoposti al giudice della cautela.
In simili ipotesi, non vi può essere spazio per alcun giudizio relativo al comportamento dell’istante, eventualmente anche lievemente colposo, in quanto viene negata in radice l’efficienza causale della condotta dell’indagato sull’adozione della misura cautelare, da ritenere incompatibile con la riconosciuta autoreferenzialità dell’errore dell’Autorità giudiziaria.
Ne consegue, pertanto, il necessario annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello.
