Esame del testimone: due decaloghi a confronto (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Tutti i pratici della branca penalistica imparano presto una verità elementare: la prova dichiarativa, in particolare quella testimoniale, ha un’importanza centrale nei giudizi dibattimentali, a dispetto della sua sperimentata fallibilità e delle tante trappole lungo il suo cammino, a partire dalla estrema soggettività dei meccanismi mnemonici sia nella fissazione del ricordo di un fatto che nella sua rievocazione.

Sanno anche che tra chi esamina e chi è esaminato si instaura una complessa relazione che può comprendere pressoché l’intera gamma delle emozioni umane tipiche.

Sanno infine che, a fronte della testimonianza, ciascuno degli attori della triade processuale (accusa, difesa, giudice) ha un suo interesse specifico: confermativo quello dell’accusa, oppositivo quella della difesa, “laico” e quindi esplorativo quello del giudice.

In parole più semplici, ognuno di quei tre attori può in buona coscienza affermare di tendere alla verità ma dovrebbe aggiungere che cerca la sua verità, cioè quella più rispondente alla sua funzione.

Da questa premessa consegue che esistono tanti modi di accostarsi all’esame di un teste quante sono le personalità dei testi medesimi e quanti sono gli interessi e le funzioni di chi esamina.

Consapevoli di questo, proponiamo due decaloghi di regole cui dovrebbe attenersi l’esaminatore.

Il primo è questo:

1) poni solo domande di cui conosci la risposta

2) usa un linguaggio semplice e comprensibile al teste

3) sia breve il tuo esame

4) ascolta le risposte

5) evita ripetizioni nelle domande

6) non litigare o entrare in polemica con il teste

7) non fare una domanda di troppo, in particolare quando hai ottenuto la risposta che attendevi

8) la migliore domanda riservala per ultima

9) osserva la postura del teste, studia un poco di comunicazione non verbale

10) non fare domande ad ogni costo, alle volte il silenzio è d’oro.

Il secondo è questo:

1) ripeti le domande che hanno avuto una risposta vaga; elimina per quanto puoi ogni vaghezza;

2) fai tutte le domande che ritieni utili, anche quelle di cui non conosci la risposta; non è bene lasciare spazi vuoti che dovrebbero poi essere riempiti con presunzioni che potrebbero essere fallaci;

3) mostra il massimo interesse a quello che ti viene detto e non banalizzarlo; chi risponde deve avere la sensazione che ciò che dice è importante;

4) evita accuratamente di dare l’impressione che stai aspettando una specifica risposta, quella e non altre;

5) non essere né compiacente né amichevole né complice; la relazione tra esaminatore e teste non ha nulla di privato, è un fatto istituzionale e come tale deve essere percepita;

6) fai comprendere in modo inequivocabile che proprio per questa natura pubblica della testimonianza tu che fai domande e il teste che dà le risposte siete entrambi pezzi di un sistema che funziona correttamente solo se tende alla verità senza fronzoli e aggettivazioni e se non ci riuscite avete fallito entrambi;

7) usa un linguaggio diretto, tale da rendere chiarissimo ciò che vuoi sapere senza girarci attorno oziosamente;

8) fai soprattutto domande aperte che ammettano una parte esplicativa: l’alternativa sì/no va bene in un quiz televisivo, non in un’aula di giustizia;

9) non fare domande a sorpresa che fuoriescano dal tracciato prevedibile della testimonianza; non sei un prestigiatore e non ti si addicono effetti speciali;

10) sii te stesso, sii quello che sei ogni giorno in aula e nella vita, non mettere maschere e non ti atteggiare a grande inquisitore; sii essere umano tra gli esseri umani, con l’unica piccola differenza che a te tocca giudicare e decidere.

Due modelli a confronto come dicevamo, in parte simili, in parte diversi.

Ognuno si faccia la sua opinione.