Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 14460/2023, depositata il 5 aprile 2023, chiarisce i parametri necessari per riconoscere il vizio totale o parziale di mente.
Vicenda giudiziaria e ricorso per cassazione
In entrambi i gradi di merito l’imputato è riconosciuto responsabile del reato di omesso versamento dell’assegno di mantenimento a favore della moglie e della figlia minorenne.
Il suo difensore ricorre per cassazione.
Deduce tra l’altro i vizi di violazione di legge in relazione agli artt. 178 lett. c), 70, 129, 529 cod. proc. pen. e 85, 88 e 89 cod. pen. e di motivazione abnorme per il rigetto della richiesta di accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato e di partecipazione cosciente al processo per la risalenza della documentazione sanitaria a quattro anni precedenti ai fatti, nonostante vi fosse un ragionevole dubbio, vista la sindrome depressiva con attacchi di panico da cui è affetto l’imputato che avrebbe imposto l’espletamento di una perizia.
Decisione della Corte di cassazione
Il rigetto della perizia volta ad accertare la capacità di intendere e di volere del ricorrente, oltre che la sua capacità di partecipare al processo, è stato congruamente motivato dai giudici di merito con argomenti con i quali il ricorso non si confronta affatto, a partire dal rilievo che la sindrome depressiva con attacchi di panico non può dirsi idonea di per sé ad incidere sulla capacità di intendere e di volere e dal fatto che il ricorrente medesimo non è stato mai dichiarato incapace, anche parziale, nei diversi processi a cui è stato sottoposto, nonostante affetto da anni dalla medesima patologia.
Nel caso di specie l’allegazione difensiva, estremamente generica, non si conforma all’orientamento delle Sezioni unite che ha sancito un principio di diritto a tutt’oggi rimasto insuperato ovverosia che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente l’infermità non solo deve essere di consistenza, gravità e intensità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere ma deve avere diretta incidenza eziologica sulla condotta, in rigorosa relazione con la fattispecie di reato.
Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad alterazioni che non presentino detti caratteri (Sez. unite, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317; Sez. 1^, n. 35842 del 16/04/2019, Rv. 276616; Sez. 2, n. 50196 del 26/10/2018, Rv. 274684).
Questo rigoroso perimetro, correttamente seguito dai giudici di merito, preclude il riferimento strumentale a patologie non rilevanti ai fini della valutazione di reati che si correlano ad una deliberata volontà di sottrarsi agli obblighi di legge.
Nella specie, infatti, risulta che il ricorrente, con una figlia disabile al 45 % e una moglie assistita dai servizi sociali, non solo non ha mai contribuito in alcun modo al loro mantenimento, disposto dal Tribunale civile, ma ha mostrato totale disinteresse, abbandonando la bambina, per anni, anche sotto il profilo morale ed affettivo.
A fronte di tutto questo la decisione dei giudici di merito di non procedere a verifiche peritali risulta immune da vizi e non vulnerata dalle generiche censure, non essendo dato univocamente significativo il fatto che il ricorrente sia seguito da un centro di salute mentale.
