Coltivazione domestica di piante di canapa indiana: i parametri valutativi nella giurisprudenza di legittimità (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 3^, sentenza n. 23520/2023, udienza pubblica del 30 gennaio 2023, ribadisce un consolidato indirizzo interpretativo sulla condotta di coltivazione domestica di piante di canapa indiana.

Vicenda giudiziaria e motivi di ricorso per cassazione

Nel caso insieme ad un imputato è stato contestato il reato previsto dall’art. 73 DPR 309/1990, in relazione alla coltivazione di cinque piante di canapa indiana, di altezza variabile tra i 20 e i 40 cm.

In esito al giudizio abbreviato, il GIP ha applicato la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., riconoscendo la particolare tenuità del fatto.

Il PG ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 131-bis cod. pen.

A suo parere, l’imputato avrebbe avviato una attività professionale di coltivazione di canapa indiana, adottato ogni specifica modalità attuativa idonea per la buona riuscita dell’operazione, posto in essere peculiari accorgimenti ed impiegato tecniche particolarmente accurate, sintomatiche di conoscenze approfondite e di una condotta non certo sporadica.

Il PG ha inoltre censurato la mancata considerazione del numero di dosi, circa 400,che si sarebbero potute ricavare dal prodotto finale.

La decisione della Corte di cassazione

Il collegio ha anzitutto ricordato il principio, affermato da Sezioni unite, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Rv. 278624, per il quale non integrano il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.

Nella stessa decisione le Sezioni unite hanno rimarcato la graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni.

Sono infatti lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo ed alle condizioni sopra elencate,

per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto.

È assoggettata invece al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 DPR 309/1990 la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita.

Alla coltivazione penalmente illecita sono infine applicabili la causa di non punibilità posta dall’art. 131-bis cod. pen., qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, oppure, in via

gradata, l’art. 73, comma 5, del citato DPR, ove ricorrano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto.

Nel caso in esame, il giudice di primo grado  ha correttamente ritenuto la particolare tenuità del fatto, a fronte comunque di una condotta che, sulla base dei parametri indicati dalle Sezioni unite, si collocava ai limiti della tipicità e avrebbe potuto quindi giustificare un esito assolutorio date le caratteristiche concrete della vicenda di fatto (numero irrisorio di piante, modesto quantitativo complessivo di dosi ricavabili, modalità rudimentali della coltivazione, per l’assenza di precedenti penali e di altri elementi da cui desumere la destinazione allo spaccio o l’inserimento dell’imputato nel mercato degli stupefacenti).

A maggior ragione quelle stesse caratteristiche rendono applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.

Il ricorso è stato dichiarato conseguentemente inammissibile.