Cass. pen., Sez. 3^, sentenza n. 23299/202, udienza pubblica del 20 gennaio 2023, chiarisce gli oneri dimostrativi a carico dell’imputato che voglia giustificare il mancato pagato di oneri tributari.
Per costante giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967, Sez. 3, n. 20266 dell’08/04/2014, Rv. 259190, e Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 263128), l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto, occorrendo in definitiva la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
Alla luce di tale premessa, devono escludersi le lacune argomentative dedotte dalla difesa, avendo la Corte di appello rimarcato la mancata prova di eventi straordinari ingestibili e imprevedibili, apparendo piuttosto i fatti dedotti dal ricorrente riconducibili a generali manifestazioni dell’ordinario rischio di impresa.
Del resto, ha sottolineato la Corte territoriale, due terzi delle ipoteche iscritte sugli immobili della società riguardavano pregresse esposizioni debitorie con il Fisco, a nulla rilevando l’esistenza di piani di rateizzazione dei debiti di anni precedenti, mentre l’unica domanda di insinuazione al passivo nei confronti della debitrice risaliva al 2011 (l’omissione contestata in questa sede riguarda l’annualità 2015) e comunque aveva ad oggetto una somma, pari a 309.000 euro, inidonea a coprire l’importo non corrisposto a titolo di iva contestato in questa sede; parimenti non è stata ritenuta dirimente la procedura esecutiva subita (pignoramento presso terzi risalente anch’esso al 2011, attivato su iniziativa della società …), riferendosi la stessa a debiti per fatture relative a prestazioni svolte dalla società creditrice, non potendo tale vicenda essere considerata come esorbitante dai fisiologici rischi imprenditoriali.
Quanto poi alle misure adottate da per far fronte alla crisi di liquidità, la Corte di appello ha sottolineato la genericità delle allegazioni difensive, non comprendendosi dalle stesse quale fosse la reale scopertura bancaria della società … desumendosi solo dalla revoca dell’affido da parte del … che la stessa derivava proprio dalla notifica all’istituto bancario del pignoramento presso terzi cui ha dato corso l’Erario per i pregressi debiti fiscali.
Da ciò è stata tratta dai giudici di merito la conclusione, non illogica, secondo cui quella di non pagare l’iva è stata una scelta volontaria dell’imputato, che, in assenza di incontrollabili e ingestibili eventi esterni, ha consapevolmente deciso di destinare ad altri scopi le risorse generate dall’incasso dell’imposta dichiarata.
In definitiva, a fronte di un percorso motivazionale privo di incongruenze argomentative e coerente con gli indirizzi ermeneutici elaborati in questa materia, non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive, volte sostanzialmente a suggerire una non consentita rilettura degli elementi probatori, non potendo dunque ritenersi illegittima l’esclusione della causa di forza maggiore dedotta dal ricorrente rispetto al mancato versamento dell’iva.
