La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 20383/2023 Rv 284452-01 ha stabilito che in tema di spese processuali, la condanna della parte civile alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato può essere disposta, ove quest’ultimo ne abbia fatto richiesta, nei casi di assoluzione per cause diverse dal difetto di imputabilità, ovvero qualora la domanda risarcitoria sia stata rigettata o siano state revocate o annullate le statuizioni in favore della parte civile emesse nel precedente grado di giudizio.
La Suprema Corte in applicazione del principio enunciato, ha rigettato il motivo di ricorso dell’imputato avverso la sentenza di appello che, respingendo tanto il suo gravame, quanto quello delle parti civili relativo alla mancata liquidazione del danno, non aveva condannato queste ultime alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’imputato.
Fatto
La difesa deduce la violazione di legge quanto agli artt. 541 e 592 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione.
La Corte di appello con la sentenza ora impugnata rigettava gli appelli sia dell’imputato che delle parti civili, che chiedevano la riforma della sentenza di primo grado per non aver liquidato il danno risarcibile.
Avrebbe errato la Corte territoriale condannando l’imputato alla rifusione delle spese di lite pur a fonte della soccombenza di entrambi gli appellanti, in carenza assoluta di motivazione.
Decisione
Va da subito richiamata Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946 – 01 che osservava come sia “[…] ben vero che nella sostanza la posizione di quest’ultima [la parte civile – n.d.e.] risulta ridimensionata, rispetto alle statuizioni adottate in primo grado, tuttavia non sussiste la dedotta violazione dell’art. 541 co. 1 c.p.p., posto che il parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato non elimina la condanna, sicché (pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali) è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile (cfr.: Cass. III, 20.11.1993, n. 10581), salvo che il giudice ritenga di disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge non censurabile in sede di legittimità (cfr.: Cass. III, 31.8.1994 n. 9344), a meno che la decisione sia basata su ragioni palesemente illogiche (mentre nella specie il giudice di secondo grado ha implicitamente considerato prevalente la soccombenza dell’imputato, secondo il criterio già richiamato)”.
Come osservato dalla Procura generale, nel giudizio di appello, in caso di soccombenza reciproca, il giudice non è obbligato a disporre la compensazione delle spese ma può condannare alla refusione di quelle sostenute dalla parte civile l’imputato quando l’impugnazione di quest’ultimo risulti infondata, perché l’imputato non può essere condannato alle spese solo quando in appello sia modificata la decisione di primo grado in senso a lui favorevole (Sez. 5, n. 48206 del 10/09/2019, Rv. 278040 – 01: fattispecie in cui nel giudizio di appello era stata confermata la decisione di condanna di primo grado per uno dei reati contestati e contestualmente respinta l’impugnazione della parte civile che aveva chiesto la riforma della sentenza assolutoria per l’altro reato). Sez. 5, osservava, anche, come sia ben vero che la reciproca soccombenza nel giudizio di appello legittima la compensazione delle spese sostenute dalle parti contrapposte, ma non per questo la compensazione costituisce un obbligo per il giudice, che può – senza violare la legge – condannare l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile allorché, come anche nella specie ora in esame, la sua impugnazione risulti infondata.
In questo caso, invero, la condanna disposta dalla Corte di appello dell’imputato alla rifusione delle spese processuali segue la totale soccombenza dell’imputato.
Pertanto legittima è la condanna dell’imputato in quanto la violazione del principio della soccombenza, in ordine al regolamento delle spese da parte del giudice di merito, deve ravvisarsi soltanto nell’ipotesi in cui l’imputato sia totalmente vittorioso, nel senso che egli sia assolto con formula preclusiva dell’azione civile, mentre è legittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile quando la responsabilità sia stata confermata, pur in presenza di un accoglimento dell’impugnazione sotto altri profili (Sez. 4, n. 25846 del 15/03/2018, Rv. 273079 – 01; fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza della corte d’appello che aveva liquidato in favore delle parti civili costituite le spese del giudizio di secondo grado, confermando la responsabilità penale dell’imputato ma riducendo la provvisionale liquidata).
Quanto, invece, alla richiesta di condanna della parte civile alla rifusione delle spese in favore dell’imputato la stessa deve conseguire solo al caso in cui, ai sensi dell’art. 541, comma 2, cod. proc. pen. in sede di impugnazione la domanda di risarcimento del danno sia stata del tutto rigettata, o siano state revocate o annullate le precedenti statuizioni civili in favore della parte civile, anche a seguito dell’assoluzione dell’imputato per ogni causa ad eccezione del difetto di imputabilità.
Infatti, ai fini della valutazione della soccombenza della parte civile è decisiva la circostanza che l’imputato sia riuscito ad escludere il diritto della parte civile al risarcimento dei danni conseguenti al reato per cui si procede: se l’impugnazione dell’imputato non ottiene questo risultato, lo stesso è tenuto al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile.
Pertanto, il parziale accoglimento del ricorso dell’imputato non elimina la condanna e, per tale motivo, se impedisce la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, consente di condannarlo alle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione (Sez. 3, n. 10581 del 19/10/1993, Rv. 196451 – 01).
In sostanza, analogamente a quanto accade per l’imputato, anche per la parte civile costituita si ha violazione del principio di soccombenza, ai sensi dell’art. 541, comma 2, cod. proc. pen., solo allorché la stessa non sia stata condannata alla rifusione delle spese in favore dell’imputato, a fronte del totale rigetto della domanda di restituzione e risarcimento, ovvero della revoca o dell’annullamento totale delle precedenti statuizioni civili, e non anche nel caso soccombenza parziale.
Infatti la parte civile che, in sede d’appello, resista vittoriosamente all’istanza dell’imputato volta ad escludere il diritto di quest’ultima al risarcimento dei danni conseguenti al reato per cui si procede, ha diritto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa già anticipate anche se risulti parzialmente o totalmente soccombente in relazione alle proprie richieste (Sez. 6, n. 2301.7 del 19/01/2004, Rv. 229825 – 01; in applicazione di tale principio la Corte ha accolto il ricorso della parte civile in ordine alla mancata rifusione a favore della medesima delle spese relative al giudizio di appello, nel quale era stato dichiarato inammissibile il gravame di quest’ultima al fine di ottenere il riconoscimento di una provvisionale).
Pertanto, deve affermarsi che nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 541, comma 2, cod. proc. pen., l’imputato che lo abbia richiesto, in ossequio al principio della domanda, ha diritto alla condanna della parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute nel solo caso in cui abbia ottenuto l’esclusione totale del diritto al risarcimento del danno, o attraverso l’assoluzione, con l’eccezione del difetto di imputabilità, ovvero se la domanda sia stata del tutto rigettata o siano state revocate o annullate le precedenti statuizioni in favore della parte civile.
