La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 10989/2023 ha ribadito che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, posto che l’immutazione si verifica solo laddove ricorra tra i due episodi un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa.
Nel caso esaminato la Suprema Corte ha ritenuto che vi fosse correlazione, e particolarmente una specificazione del fatto, tra il capo di imputazione, in cui era contestato il reato di rapina commesso da un imputato con volto travisato da passamontagna e dal correo con sciarpa e cappellino, e la sentenza che condannava i correi per aver agito entrambi con volto travisato da passamontagna.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 35120 del 13/06/2003, Rv. 226654; Sez. 6, n. 17799 del 06/02/2014, Rv. 260156).
Ciò in quanto, il rispetto della regola del contraddittorio – che deve essere assicurato all’imputato, anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente all’art. 111, comma secondo, Cost., integrato dall’art. 6 Convenzione europea, come interpretato dalla Corte EDU – impone esclusivamente che detta diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa” e cioè nei confronti dell’imputato che, per la prima volta e, quindi, senza mai avere la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato: ne consegue che non sussiste la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Rv. 254649).
Ed invero, nella fattispecie esaminata, dal raffronto testuale dei due capi di imputazione (l’originario e quello modificato all’udienza dell’11/06/2019) risulta una sopravvenuta maggiore specificazione della dinamica del fatto realizzato senza dubbio da due soggetti travisati (senza che rilevi il dettaglio della tipologia del capo utilizzato per il travisamento, circostanza di fatto estranea alla qualificazione del fatto, ferma l’individuazione dei rei) che entrarono nell’esercizio con modi decisi ed irruenti chiudendo con violenza la porta di ingresso, in modo da incutere timore alla persona offesa, intimidita a tal punto da non poter reagire all’atto predatorio che stava subendo.
