Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 22298/2023, camera di consiglio del 10 gennaio 2023, si è occupata del tema dei colloqui visivi e telefonici dei detenuti sottoposti al regime normato dall’art. 41-bis, Ord. pen.
La decisione
Nella decisione si ricorda preliminarmente che in via generale i colloqui, visivi e telefonici, dei detenuti rappresentano un diritto fondamentale, collegato alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti del soggetto recluso, riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 15 e 18, comma 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, che ritengono tale prerogativa individuale indispensabile nell’ambito del trattamento rieducativo, ai fini dell’attività di recupero sociale del condannato (Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Rv. 251419-01; Sez. 1, n. 33032 del 18/04/2011, Rv. 250819-01; Sez. 1, n. 27344 del 28/05/2003, Rv. 225011-01).
Si puntualizza al tempo stesso, e per contro, che le modalità di esercizio di questo diritto rientrano nell’ambito della discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria, che attraverso previsioni di carattere generale, quali circolari e regolamenti di istituto, può esplicarsi in disposizioni organizzative e operative, finalizzate a definire tempi e modi per la concreta attuazione di tale irrinunciabile prerogativa del detenuto: in detti casi, come avviene per tutte le ipotesi di atti amministrativi che incidono su situazioni soggettive, i provvedimenti che contengono tali misure sono, nondimeno, assoggettati a un controllo giurisdizionale, che spetta alla magistratura di sorveglianza (Corte cost., sent. n. 135 del 2013).
Date queste coordinate interpretative di cornice, in esse si inserisce il tema controverso, che attiene all’interpretazione dell’art. 41-bis, comma 2-quater, legge 26 luglio 1975, n. 354, che, per i detenuti sottoposto a regime detentivo differenziato, circoscrive ad uno al mese il numero dei colloqui e stabilisce che essi debbano «svolgersi ad intervalli di tempo regolari», locuzione che l’art. 16 della Circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017 ha inteso nel senso della fruizione dei singolo colloqui «a distanza di circa 30 giorni» l’uno dall’altro.
Si è inizialmente manifestato a tale riguardo un orientamento giurisprudenziale favorevole ad un’interpretazione elastica del dettato normativo e, in particolare, del concetto di «regolarità» degli intervalli tra un colloquio e l’altro, tale da consentire l’accorpamento e lo svolgimento in giorni ravvicinati — l’uno alla fine del mese, l’altro all’inizio del successivo — funzionale a contenere i tempi e i costi delle trasferte dei familiari per raggiungere il luogo di detenzione del loro congiunto (consacrato, tra le altre, da Sez. 1, n. 10462 del25/11/2016, dep. 2017, Rv. 269515 – 01).
Questa visione è stata successivamente contraddetta e superata da altro, di segno contrario, secondo cui «In tema di regime penitenziario differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ord. pen., è legittima la disposizione dell’Amministrazione penitenziaria che, in attuazione dell’art. 16 della circolare del D.A.P. del 2 ottobre 2017, preveda, per i detenuti sottoposti a tale regime, che i colloqui visivi e telefonici abbiano luogo a distanza di circa trenta giorni l’uno dall’altro, con conseguente esclusione della possibilità di accorpamento degli stessi rispettivamente alla fine del mese e all’inizio di quello successivo, atteso che detta regolamentazione costituisce un ragionevole esercizio del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione dal comma 2-quater, lett. b), del citato art. 41-bis in punto di concreta disciplina delle modalità di fruizione dei colloqui, contemperando il diritto del detenuto – per l’effetto degradato ad interesse legittimo – a coltivare i legami relazionali più stretti con l’esigenza organizzativa – funzionale alla tutela della sicurezza pubblica – di diluire i flussi di informazioni che, in occasione dei colloqui, nonostante i controlli, potrebbero intervenire tra il detenuto e gruppi di criminalità esterni» (Sez. 1, n. 23945 del 26/06/2020, Rv. 279526 – 01; Sez. 1, n. 5446 del 15/11/2019, dep. 2020, Rv. 278180 – 01).
Il collegio di legittimità esplicita la sua adesione a quest’ultimo indirizzo, ribadito, ancora di recente, da Sez. 1^, n. 49576 del 14/09/2022, e Sez. 1, n. 49577 del 14/09/2022, entrambe non massimate – che muove, condivisibilmente, dall’attribuzione all’Amministrazione penitenziaria, per espressa scelta legislativa, di un ambito di discrezionalità, il cui esercizio può essere sindacato mediante verifica della logicità e della ragionevolezza della scelta organizzativa compiuta, che risponde, soprattutto, all’esigenza di rendere meno agevoli, o comunque meno concentrati, i collegamenti con l’esterno, costituenti un veicolo potenziale di trasmissione di informazioni non consentite.
Al cospetto, dunque, di una disciplina di ordine generale, espressione di un potere di organizzazione dell’Amministrazione penitenziaria che sia stato correttamente esercitato attraverso l’adozione di regole caratterizzate da assoluta ragionevolezza e coerenza con le finalità del regime differenziato cui afferiscono, la pretesa soggettiva del detenuto di accorpamento dei colloqui in giorni ravvicinati può essere legittimamente incisa dall’esercizio di tale potestà amministrativa, funzionale al soddisfacimento del preminente interesse alla tutela della sicurezza pubblica cui la disposizione organizzativa è finalizzata, venendo, dunque, in gioco un mero interesse legittimo del detenuto e non un diritto soggettivo.
Commento
La decisione appena commentata fa il paio con un’altra, precisamente la n. 5620/2020 emessa dalla stessa prima sezione penale della Corte di cassazione, in cui si arriva ad affermare che “la predeterminazione normativa di una data frequenza dei colloqui, non alterabile da parte del detenuto assoggettato al regime penitenziario differenziato, priva quest’ultimo della possibilità di governare, a sua discrezione, le modalità temporali di quella relazione, indebolendone – anche sotto questo aspetto – la capacità e il prestigio criminale, su cui normalmente si fonda la qualificata pericolosità sociale di questa categoria di detenuti. Trattasi, dunque, di restrizione congrua e utile alla luce dello scopo cui tende la misura restrittiva, che non si pone così neppure in contrasto con la giurisprudenza costituzionale (v., da ultimo, sentenza 186/2018) volta a sanzionare, in seno al sistema delineato dall’art. 41-bis, le sole limitazioni dotate di valenza meramente e ulteriormente afflittiva“.
Questa motivazione e quella propria della sentenza cui si riferisce il post esprimono nel modo più plastico la tendenza della giurisprudenza di legittimità ad interpretare al ribasso e nel modo più restrittivo ed irragionevole un regime carcerario differenziato già di per se stesso faticosamente conciliabile non solo col finalismo rieducativo della pena ma anche con l’umanità e la dignità dei detenuti riguardo a sfere sicuramente comprese tra i diritti inviolabili dell’uomo che preesistono al diritto e ne sono la genesi.
Nella sentenza del 2023 si degrada ad interesse legittimo la posizione giuridica soggettiva attiva del detenuto ad intrattenere colloqui con i suoi familiari, si attribuisce un valore normativo ad una circolare del DAP, si pone nel nulla l’interesse dei familiari ad accorpare i colloqui mensili in giorni ravvicinati per diminuire spese e disagi e, ciò che più conta, si fa tutto questo sulla base dell’indimostrata ed illogica presunzione che i colloqui ravvicinati renderebbero più facile veicolare all’esterno flussi informativi tali da frustrare le esigenze sottese al regime del 41-bis.
Nella sentenza del 2020 si arriva ad affermare che la cadenza dei colloqui ha a che fare con la capacità e il prestigio criminale del detenuto (come dire che minore è l’intervallo tra l’uno e l’altro, maggiore sarebbe la nomea di cui godrebbe il beneficiario) e che bene ha fatto il legislatore a diminuirne drasticamente il numero “in modo da diluire equamente nel tempo il volume dei flussi informativi reciprocamente intercorrenti tra il detenuto e i suoi congiunti, intrinsecamente pericolosi nonostante le ulteriori cautele dalla normativa adottate”.
Ognuno può giudicare da sé il grado di razionalità di una visione simile.
