Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 21639/2023, udienza dell’8 febbraio 2023, affronta i temi della bancarotta impropria da reato societario e del nesso causale tra false comunicazioni sociali e dissesto.
Nesso causale
Nella decisione commentata si precisa anzitutto che tale nesso è ravvisabile non solo in presenza di condotte che incidano direttamente sulla consistenza del patrimonio della fallita ma anche nei casi in cui le illecite operazioni contabili abbiano l’immediato risultato di rendere indiscernibile l’esistenza di consistenti perdite nell’attività imprenditoriale (Sez. 5^, n. 28508 del 12/04/2013, Rv. 255575).
Il reato di bancarotta impropria è dunque integrato allorché l’amministratore di società, che esponga nel bilancio dati non veri, al fine di occultare la sostanziale perdita del capitale sociale, eviti così di palesare la necessità di procedere al suo rifinanziamento o alla liquidazione della società, provvedimenti la cui mancata adozione determinava l’aggravamento del dissesto di quest’ultima (tra le tante, Sez. 5^, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Rv. 282537 – 01).
Tale principio deve essere tuttavia integrato dalla considerazione che la falsificazione del bilancio, per integrare l’ipotesi di reato in esame, deve esclusivamente cagionare o concorrere ad aggravare il dissesto, quale che sia l’iniziativa successiva posta in essere dall’amministratore.
Occorre quindi verificare se l’aver celato la realtà dei dati contabili in sé abbia prodotto o aggravato l’evento-dissesto (sulla sufficienza dell’aggravamento per integrare il reato, cfr. Sez. 5^, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Rv. 263803 – 0).
La giurisprudenza di legittimità ha infatti anche ritenuto che il reato di bancarotta impropria da reato societario è integrato quando l’amministratore, attraverso mendaci appostazioni nei bilanci, simuli un
inesistente stato di solidità della società, consentendo così alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacché, agevolando in tal modo l’aumento dell’esposizione debitoria della fallita, determina l’aggravamento del suo dissesto. (Sez. 5^, n. 17021 del 11/01/2013 – dep. 12/04/2013, Rv. 255089).
Ancora, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile (Sez. 5^, n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262189 – 01).
Principio di diritto
Può affermarsi, pertanto, il principio per cui, in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all’art. 2621 cod. civ., sussiste il nesso eziologico fra le false comunicazioni sociali e il dissesto allorché il mendacio celi una perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale ex art. 2463, comma 1, n. 4), cod. civ., così impedendo l’emergere di una causa di scioglimento della società di capitali ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ., nonché eludendo gli obblighi dell’amministratore di provvedere «senza indugio» a fronte della causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2485, comma 1, cod. civ., così provocando ulteriori perdite, conseguenti a indebiti finanziamenti e al protrarsi della gestione in regime non liquidatorio.
Elemento soggettivo
In tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, si manifesta una struttura complessa comprendente il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, e il predetto dolo generico non può ritenersi provato – in quanto “in re ipsa” – nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, né può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società, dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino la consapevolezza di un agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili (Sez. 5^, n. 30526, 22/04/2021, non massimata).
In tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all’art. 2621 cod. civ., il dolo richiede una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5^, n. 50489 del 16/05/2018, Rv. 274449 – 01; Sez. 5^, n. 42257 del 06/05/2014, Rv. 260356 – 01, in una fattispecie relativa alla esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione economica e finanziaria della società con conseguente dissesto della medesima ed induzione in errore dei creditori).
