Segnaliamo ai lettori la sentenza n. 304/2023, emessa dal TAR Emilia Romagna, Sez.1 ^, e pubblicata il 17 maggio 2023 (allegata, in forma debitamente anonimizzata, alla fine del post).
È la risposta che il predetto giudice amministrativo ha dato al ricorso di una giudice di pace che chiedeva accertarsi il suo diritto, nella qualità, “previa eventuale rimessione della questione di costituzionalità o di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea ovvero previa disapplicazione diretta delle norme interne ritenute incompatibili, alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno o part-time con il Ministero della Giustizia e la conseguente condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate, oltre oneri previdenziali e assistenziali; o in via subordinata per la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente a causa dell’assenza di qualsivoglia tutela assistenziale e previdenziale in favore dei giudici di pace derivanti da fatto illecito del legislatore“.
Questo il dispositivo:
“Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia – Romagna Bologna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, così decide:
a) dichiara che, per le funzioni di Giudice di Pace svolte, la ricorrente rientra nella nozione di lavoratore a tempo determinato secondo il diritto eurounitario;
b) ordina al Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, la ricostruzione della posizione giuridica ed economica in relazione al periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di giudice di pace, secondo i criteri di cui in motivazione, con conseguente condanna al pagamento delle conseguenti differenze retributive, oltre interessi;
c) ordina al Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore la ricostruzione della posizione assistenziale e previdenziale della ricorrente in relazione al periodo in cui la dott.ssa … ha svolto le funzioni di giudice di pace, secondo i criteri di cui in motivazione, e condanna per detto periodo il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’INPS dei contributi previdenziali non versati;
d) dichiara l’abusiva reiterazione del termine apposto ai singoli incarichi e, per l’effetto, condanna il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno in favore della ricorrente, nella misura pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto spettante“.
La decisione è ricchissima di spunti giuridici di grande interesse e rilievo.
Ci si limita ad elencarli nell’impossibilità di trattarli tutti con l’approfondimento che meriterebbero.
- riconoscimento della spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo (paragrafo n. 3);
- ricognizione della disciplina nazionale dello status dei giudici di pace (paragrafo n. 5.3);
- procedura di infrazione aperta dalla Commissione UE contro l’Italia per dubbi sulla conformità della normativa italiana sul trattamento dei giudici di pace, anche in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 116/2017, al diritto del lavoro dell’UE come interpretato dalla Corte di Giustizia da ultimo con la sentenza C-658/18 del 16 luglio 2020 (paragrafo n. 5.4):
- resistenze nazionali, sia legislative che giurisdizionali, all’inquadramento dei giudici di pace nell’ambito del pubblico impiego così come nell’ambito della parasubordinazione (paragrafi n. 5.5 e ss.);
- analisi della sentenza C.G.U.E. 7 aprile 2022 C-236/2020 (paragrafo n. 5.8);
- conclusioni (paragrafi n. 6 e ss.).
